LA DUSE M. GORDJQIANI dip. ^ LUIGI RASI LA DUSE CON 55 ILLUSTRAZIONI FIRENZE E. BEMPORAD & FIGLIO LIBRAI-EDITORI 1901 PROPRIETÀ LETTERARIA DEGLI EDITORI R. BEMPORAD & FIGLIO liiservati i diritti di traduzione 189-901. - Firenze, tipografia di S. Landi, Via Santa Caterina, 12 Il lungo convoglio usciva lento e fragoroso con singoiar precisione y d'orario dalla stazione di Oswiecini alle 7 di sera. Noi della vettura di- retta Berlino-Bukarest avevani la- sciato i nostri posti per godere dalla galleria gii effetti di luce prodotti da un tramonto maravigiioso. Il sole, nascosto dietro una gran nu- vola paonazza, ne lìssava il con- toruo inferiore con una sottile orlatura d'oro. Al- tre nuvole più piccole di un turchino freddo con orlo meno acceso, seminate al di sotto, campeg- <»iavano in un fondo cilestrino su cui si disegniì- vano in graziosi arabeschi arbori e case. Gra- datamente l'oro degli orli si cangiò in porpora fiammante, sinché il sole ai^parso di sotto a la nu- vola madre come un enorme disco di rame, par\ e per una trasformazione d'incantesimo mandar la sua luce su la nuNola, che, nella incandescenza, sembrava dissolversi in frantumi. Poi, allo sparir del sole, hi porpora s'andò affievolendo, e prese un color freddo di \'iola, che, spentosi a grado a grado, immerse tutto a l' intorno nella calma funerale della notte. Una signora giovane, ma di aspetto non ])iù florido, col capo inclinato sulla spalla del marito, sorrideva dinanzi a () nella magnifica scena di teatro, che si mutava istantaneamente, inav^er- titamente. Un'aria di melanconia s'era posata sul suo volto, e non l'ave\'a più lasciata. Era tutt' avvolta da un ampio mantello color noc- ciuola, che le scendeva a terra con gran bavero alla stuarda e con doppia pellegrina orlata di pel bianco: un niantellone nuovo, acquistato a lierlino, e messo indosso pel passaggio dalla sta- zione di contine, nel quale si sarebbe detto rac- colto tutto il barocco e il chiassoso della moda. Solo, ogni tanto, con iscatti di voce acuti, in- fantili, mostrava tutte le apparenze che in quelle trasformazioni s' andavano offerendo agli occhi del suo pensiero. — Ah ! quella pioggia di pulviscolo lucente ! Pare un ampio ombrello di garza dorata! Ah! Un lago!... Vedi le barche? Le montagne? Po- vera nuvola! Come s'è sbocconcellata! Guarda ora.... la maggiore.... lassù.... che magnifico dra- gone!... Vedete voli.. — E si volse a un giovane biondo, ricciuto, alto, magro, dall'occhio lampeggiante, immobile, che pareva cogliere anch' egli tacitamente nella me- tamorfosi del cielo le nuove immagini. Un sorriso di compiacente atfermazione rispose a quella domanda: poi una pausa, poi tornammo tutti ai nostri posti. N^on a pena il marito si se- dette, voltomisi con atto di famigliarità: — Continuiamo — disse — hi nostra oonvcrsa- z'kmic: mi bel tramonto di sole è attraente, e non mai forse ci accacb'à di assistere a maggior glo- ria della hice: ma la Unse è anche attraente. Figlia dell'arte, dicevate? Ohe significa ciuf — I*] i tre colleghi di viaggio si piegarono avanti per meglio afferrar le mie i)arole. — Noi italiani chiamiamo Jif/lio deli' arie colui che nasce da parenti comici. Corrisponde, io penso, nW cnfaììt de la ìxilU de' francesi. Il primo comico della famiglia Duse fu il nonno di Eleonora, Luigi, un attore dialettale veneto, nativo di Chioggia, molto reputato e quale artista e f[ual conduttore di una compagnia, che recitava come niun' altra più le opere del Goldoni. Creò e so- stenne con molto successo, e per lungo tempo, la maschera del Giacometto, molto somigliante a quella del meneghino milanese, per la quale aveva parrucca nera liscia, senza arricciature o piega- ture di sorta, con codino diritto all' ingiù e due gran segni neri su i sopraccigli. Portava un faz- zoletto bianco annodato al collo, e giubba gol- doniana turchina o d'altro colore, ciedi. Per restare accanto a Romeo ancora un secondo, si china lentamente; egli la previene; coglie il fiore e giiel' olire senza proferir parola, infìsso gli occhi su gli occhi di lei. Di tra le quinte la madre chiama ancora a voce alta Giulietta, che fugge confusamente con (piella rosa che avean toccata le mani dell'amante. « Il sole è vòlto all'orizzonte. Giulietta è alla sua finestra; le sue mani sono ognor piene di rose; fiore ella stessa, è sul punto di sbocciare.... la coglierà l'amore o la morte. Eomeo s'accosta, 14 (' sotto il SUO ì)}ilcoiio ; elLi sfoglia tutti i fiori (icl lìiazzo su la fronte accesa di lui, e cotesta (licliiarazione lo inebria a sua volta. 11 poema (Ielle ore si svolge col dramma, e l' accompagna con una misteriosa armonìa di sordino. « 8i accende la ribalta : le sue fiammelle tre- molanti riscliiaran fuueralmente il cimitero. Non \>\h la lodola che si leva su ne' cieli con ti'illi di gioia: son vipistrelli clie sbatton, radendo, le ali contro le tombe, e mandan gridi di angoscia. Sur un letto di fiori riposa (liulietta. Vede, al destarsi, llomeo a' suoi pi(3di : come nella scena del balcone, ella sparge su lui l'odorato lenzuolo die la copriva, poi ricade morta ella stessa sul caro morto, in mezzo a quei fiori di un giorno. « Nel suo istinto di artista, la giovanetta aveva trovato questo motivo dominante delle rose, che rilega il primo al supremo convegno, e congiunge l'amore alla morte. » E i tre si andavan vie i)iù cliiujnido verso di me, ad afferrar meglio il signilicato delle parole. Un pensiero mi passò negli occhi, e mi affreltai a rivelarlo. 15 — Cotesta dei fiori è rimasta ima delle note (lominanti nella vita di scena della Dnse. 11 momento in cui Marglierita dà ad iVrmando la camelia, momento inavvertito quasi dal pub- blico nella interpretazione altrui, è in quella della Duse uno de' più curati e de' meglio eseguiti. Che mondo di promesse e di speranze è nel dolce ac- carezzar della camelia! E quando il suo occhio l>assa dal fiore ad Armando, e da questo a quello: quando, dopo alquanta esitazione, glie l'oft're con moto risoluto del braccio a lui proteso, come se in (|uell'atto fosse la dedizione intera dell'anima sua, che gradazione sottile di colori, che fini cesella- ture, che armonie di suoni, di sorrisi, di sguardi !... Vedrete ! E quando, rientrata col fascio de' fiori còlti in giarrt>-ii prima. Una sera, nello stesso teatro di Napoli, per malattia, mi par, della Gritti, la prima donna della Com- pagnia di Ciotti e Belli-Blanes, la Duse, cbe ne era la prima attrice giovane, dovè sostituirla nella parte di Maja de' FourchamlHiult di Augier. Il molo, benché sì diverso da quello di Teresa del dramma zollano, die campo alla Duse di mostrare qualità buone e nuove di artista, per guisa che Giovanni Emanuel, un de' più chiari ingegni, se non de' più composti, del nostro teatro di prosa, e spettatore quella sera, impose alla Principessa di Santobuono per la fornnizione di una compa- gnia nuova a quel teatro, Giacinta Pezzana ed Eleonora Duse. Si pensò di far esordire la gio- vinetta con quegli stessi FoKrchamhauU, che sì viva e bella impressione avean lasciato nell'animo non pieghevole del valoroso artista. Non fu con- sentito. Come? Perchè! Ninno può dirlo, e tor- nerebbe in vano sollevar certi veli che avvolgon di mistero i palcoscenici nostri, e forse di tutto 26 il mondo. Si può dire soltanto che la Duse, nono- stante le lodi che, come abbiam visto, s'andò i)ro- cacciando con le sue rare apparizioni sulla scena, e nonostante la protesta delle (gazzette locali contro la ninna intelligenza dell'impresa che la facea recitare ogni venti sere, fu messa a gia- cere trascurata e quasi obliata sino a che non venne la nuova opera di Zola, in cui, scelta Gia- cinta Pezzana la vecchia Sif/nora Jìaquiu, fu data d'obbligo la giovane Teresa a Eleonora Duse. Un critico egregio, Edoardo Boutet, riassunse or è (pialche anno, dopo di avere i)arlato del suc- cesso della Pezzana, SU/ìiora Raqnin, il successo di Eleonora Duse con queste parole: Aspettate. — E sfogliai ancora il libricciuolo, e trovato il punto, vi lessi: L* altra possente creazione, che rivaìefff/iò, vincendo nella oriffinale modernità dei mezzi, fa quella di Te- resa : Eleonora Duse. Il trionfo di quella sera non si scorda. La vedo nella veste nera e succinta, ap- pofff/iata alla finesf retta, con aria distratta, estranea all' ambiente, rivendo nella menzogna, nella colpa, nel delitto, nello sgomento, nel terrore, nel diMjusto, 27 nell'odio. Quando Teresa nel hiauGo velo di sposa ha paura, e si stringe a Lorenzo, il cui amore più non vince il rimorso; quando atterrita vede il ri- tratto dell' ucciso Camillo e lo addita a Lorenzo co()li occhi sbarrati e tr&tna e le manca la parola ; quando nel rimprovero dell' assassinio all' amante ode il (/rido della Signora Eaqniu e si afferra nervo- samente alla seggiola; e, nell'ultimo atto, quando r amore è diventato odio feroce, e la madre parali- tica sorride spietata del martirio dei due colpevoli, — si fremeva, un brivido correva per le fibre, e col- r animo soggiogato non si aveva nemmeno il coraggio di applaudire. Il vecchio custode del teatro de Fio- rentini quella sera mi disse: — SlGXURÌ, CIIESTA È ESSA! — Dopo quella rapi^resentazione fortunata, il nome (Iella Duse fu sulla bocca di tutti, e pel nuovo anno, il capocomico Cesare Eossi, un grande ar- tista di scuola non più moderna, ma non an- che antiquata, v tuttavia, certo, pieno di giovane forza, scritturò la Duse seconda donna, e la Pez- zana prima. — Credettero i tre ascoltatori che la seconda fosse 28 un'altra prima (Ìoìiììo, o subordinata alla scelta della vera prima, o con questa alternantesi, se- condo il genere della parta e l'attitudine dell'at- trice. Spiegai il signiiìcato preciso del grado; e dal racconto della Baquin, inteser con me la poca perspicacia del capocomico. — iS^ullameno, — m'atìrettai a dichiarare — an- che in quel ruolo la forza latente della nuova arri- vata potè palesarsi intera. Mi recai a diporto da Vicenza a Venezia. La Compagnia Kossi vi reci- tava quella sera la Fernanda di Sardou; la Pez- zana era ClotUde, la Duse Giorgina. Fu un'appari- zione fantastica; fu come un fenomeno. ]\Iai, né pure agii occhi dell'anima s'era atfacciata l'idea di un tal modo di dir le cose dalla scena. Di una recitazione che sconvolgesse e travolgesse le già esistenti, forti di una cotal loro maschiezza pla- stica anche nella lor maggiore spontaneità, si aveva più che il presentimento. ])iù che la spe- ranz.a, la inesplicabile cupidigia; ma di cpiella.... di quella! Era l'attrattiva grande nell'apparente negligenza degli etfetti presenti e vivi? Era nel precipitare anche soverchio non pur (Ielle frasi e 29 (Ielle ]){U<>le, ma delle passioni! Non so. Eva in uno sguardo e in nn sorriso, in nn oh e in nn ah, ìli una precipitazion di parole e in nn silenzio prolungato, in nn passo, in nn moto della mano: l' attrattiva grande era in tutta lei. Il suo occhio, la sua bocca, il suo gesto, la sna voce, la sua dizione, la sua interpretazione si discostavano, distaccavano da quelli delle altre attrici: la reci- tazione della valorosa maestra, ricca di nna spon- taneità che parve singolarissima, sbalorditiva dal suo nascere, serbata sino a quel giorno intatta, specie nelle violenze degli afletti, di colei che aveva fatto sino a quel giorno palpitare e fremere e tremare le turbe con la voce robnsta e lusinghe- vole, e le aveva trascinate al delirio coi lanci inat- tesi di leonessa, la recitazione della Pezzana si restrinse, direi, in nn attimo d' innanzi a quella della Duse.... La magnitìca donna, celebrata quale miracolo di pieghevolezza artistica nella rappre- sentazione egregia della tragedia, del dramma, della commedia, della farsa, restò magnitìca in Stuarda, in Medea, in Messaìina, e, in genere, in tutte (pielle opere, ove si richiedeva un cotal pan- 30 neggiameiito regale: la Pezzana, iiisoiiiina, restò l'attrice classica per eccellenza. Si trattava di una trasformazione della moda sul metodo di recita- zione ? Si trattava di progresso vero nell'arte del teatro, di cui s' era fatta segnacolo la Duse ? Non so. 11 mutamento, il progresso (o regresso!) era nella nuova generazione, la quale sentì il naturai bisogno di una attrice sua; cioè di una attrice che rendesse dalla scena le lotte, i dolori, le am- bizioni, le gioie, i sogni, le delusioni, tutte, in somma, le morbosità di una vita agitata, trava- gliata, nervosa, vertiginosa. E l'attrice fu la Duse. La recitazione dello stesso Cesare Eossi, dell' ar- tista glorioso elle da oltre quarant'anni tene\'a fronte ai sopravvenienti con le incomparabili e incomparabilmente artifiziose interpretazioni di l'oDicroJ, liuÌHUias, Papà Martin, Palchetti., Conte iSirchi, Pommcan, lUsoor, Marechal, era divenuta insostenibile. Parve al pubblico che la Duse fosse una di sua famiglia, vivente colassù tra gente di altri tempi e di altro costume. Che finezza di co- micità nei sospiri della gelosa! Che petulanza ca- rezzosa negli assedi e negli assalti ! E che naturai 31 «lamerìa nei moti della persona e nel piegar della voce! Quei gridolini squillanti, argentini, mesco- lati a certi ringhi sordi, cupi, d'irresistibile risi- bilità, accompag-nati poi da certi silenzi, in cui un volger d' occhi, un levar di mano, un chinare o alzar di capo eran più eloquenti di ogni parola; e quello studio tìn d'allora di mettere ne' suoi per- sonaggi, in dati momenti, la nota dell'originalità, lacevan già della recitazione di lei una piccola maraviglia. Pochi mesi ancora, ed Eleonora Duse diventò \i\ prima attrice assoluta della Compagnia di Cesare Eossi. Ed eccoci ora alla rivelazione della grandezza vera. Siamo al Carignano di Torino, che Eossi aveva preso in affitto per non so quanti anni, e nel quale recitava più mesi con la sua luiova Compagnia che intitolò giust' appunto della Città di Torino. La signorina Duse era diventata la signora Chec- chi; e io l'aveva vista recitare insulsamente a gra- vidanza inoltrata la insulsa parte di una insulsa commedia inglese, intitolata Le nostre himòe. Se bene prima donila assoluta^ uè Eossi ebbe il co- 32 raggio di formarle un repertorio conveniente, da cni traesse forza a spiegar con tutta l'anima le sue attitudini, né forse la Duse ebbe il coraggio di ribellarsi alle trepidazioni di lui. Ma venne a Torino Sarah Bernliardt, e la sua venuta fu come l'anuunziazione della gloria nova. Nell'arte della gTan donna, mirabile, profonda, magnifica, nella fine cesellatura, se bene tal volta, 1)111 volte anzi, sovrappoiientesi ai moti dell'anima, la Duse vide come la messa in scena della sua forza interiore.... la esecuzione di una idealità occulta: quel che altrui parve audacia d' incon- sciente, fu in lei coscienza piena e purissima delle proprie forze. Doi)o il clamoroso successo di Sa- rah, Cesare Eossi avrebbe voluto metter nell'om- bra la sua prima attrice per un omaggio di mah' intesa sommessioue artistica; ella invece, per bene inteso omaggio di gratitudine verso colei che le aveva fatto sentire la dignità dell'esser suo, e per la cpiale tutto le razzava^ intorno di luce vivida, e l'abbagliava, avrebbe \'olut() rivelarsi intera, scendendo in campo con la baldanza giovanile de' suoi vent'anni, armata di tutte le sue forze 33 fisiche, intellettuali. « Ci sono anch'io, ci sono an- ch' io ! » Parca gridar dentro l' anima, contemplando e ascoltando l'artista.... E Terem Baqnin riapparve più gagliarda e più fiera, sotto le spoglie di Leo- m'Ua. La Princ'qìessa di Bagdad., recitata alcune sere dopo le rappresentazioni di Sarah, quando il pub- blico era ancor tutto pieno del fàscino di questa, fu come la prima tappa della marcia gloriosa, rapidissima : all' intimo Ci sono anch' io, ci sono aneli' io di quell' anima sicura s' aggiunse ora, gridato ben alto, il Ce anche lei, c'è anche lei di una folla non men sicura, superba di avere, in un tempo non lontano, l' artista, che tenesse fronte alla maggior gloria di Francia. Della rappresentazione della Bagdad Alessan- dro Dumas ha lasciato in una nota dell'edizione definitiva del suo teatro tale testimonianza, che può ben considerarsi come il migliore degli omaggi del grande scrittore alla grande interprete. — La nota dice ?... — domandarono in coro i miei ascoltatori. — Tante belle cose.... ma non ricordo.... — 34 E la signora con un sorriso pieno di grazia: — Cercate nel libro magico. — Volete ? — « Alla pagina 84 di questa nuova edizione, vi ha nell' ultima scena della Prin€Ì2)essa di Bagdad una indicazione che non recano l'altre edizioni. Dopo di aver detto a suo marito: ^^ sono inno- cente, te lo (l'uiro, te lo giuro ". Leonetta, vedex- DOLO INCKEDULO, HI RIALZA, POSA LA MANO SUL CAPO DI SUO FIGLIO, E DICE UNA TERZA VOLTA " TE LO GIURO ! " Quest'atto sì nobile e convincente non fu eseguito a Parigi. Né la signorina Oroi- zette, uè io l'avevam trovato; e nullameno esso fu irrefragabile e irresistibile. Ma la sola intona- zione, per quanto possente, non i)oteva bastare. Alla Duse, l'ammirabile attrice italiana, dobbiam questa bella ispirazione. E io me ne son servito per la mia edizione definitiva, restituendone a lei l'onore e il merito. Ho poi ancora da ringraziarla, e godo di poterlo far pubblicamente, di avere, mercè il suo talento e la sua autorità, fatto en- trar nel repertorio italiano due delle mie coni- 35 medie che non i^oteron rappresentarsi fuorché ima sol volta per ciascheduna, i)rìma ch'ella le interpretasse : La moglie di Claudio, e La Princi- pessa di Bagdad. Ed è ben rincrescevole per l'arte nostra, che cotesta attrice fuor del comune non sia francese. » Fu desiderio, quasi brama della Duse d'ingag- giar battaglia col pubblico, esumando lavori ardui che a ninna artista bastò l'animo di rendere ac- cettabili. A La Priìwipessa di Bagdad tenne dietro subito La Moglie di Claudio, commedia paradossale, se ben ricca di pregi ne' i^articolari, che ricevette da lei novo alito di vita ! Ohi può dir degnamente, giustamente, della gran scena del secondo atto col marito? Qua! \igoria di espressione, che scatti brutali di voce, che ferocia di sguardi, che abban- doni di amor simulato ! E che accenti e moti di lussuria nelle varie scene di tentazione con An- tonino ! Ohe avvolgimenti di sirena ! Ohe fremiti nella carne! Ohe brisciamenti nel sangue!... Or- mai la Duse era lei ; e da quel momento si potè considerarla come la domatrice della gran fiera dalle cento teste. 36 — Bene ! Bene ! Bene ! — sclamò il giovane biondo con un crescendo di approvazione elo- qnentissimo. — Quanto ò bella questa coscienza del proprio valore!... E come fu accolta la rive- lazione improv\isa dalle vecchie e nuove com- pagne ? — Con manifestazioni di ogni specie, s'intende. Nel volger d'im anno, l'Italia fu assediata dai cicalii delle Dusette che si grattavan la testa, si mordevan le dita, sgambettavan, piruettavan, stridevano, sperando nella inane contraffazione di atteggiamenti esteriori che furon per la regina della moda come le macchie del sole, di assi- milarne anche la potenza rivelatrice. Né alcune spadette luccicanti infitte alla nuca per ogni verso, alla foggia de' crinali giapponesi, nella folta capellatura scomposta ad arte, furon tolte dal materiale d'imitazione delle commedianti pic- cole, che non davan nelle parole e nelli atti, ne men la visione pallida di ciò che fosse l'origi- nale, ne men l'echeggio lontano di quelli schianti di voce, che trascinavano. Esse restaron nell'om- bra, e più il lor grido si mutava in bercio, più, al 37 cospetto della folla deridente, parevan mutole: essa procedette, vòlta gii occhi della mente alla gran cima; e più si avanzava, più rapido si fa- ceva il suo andare, e più facile il cammino;.... l'ascensione gloriosa concessa agii umani fu quasi compiuta. L'arte sua fu arte di rivoluzione. Le at- trici provette che avevan tant'anni dominato i cuori, si ritrassero attonite, sbigottite quasi di- nanzi alla nuova arrivata; e le grandi capitali e le terre minori di Europa, di Africa, delle Ame- riche accettaron l'atì'ermazione, e l'afforzarono: la Duse fu gridata attrice unica. Né cotesto grido l'arrestò nell'ascensione. Ella vedeva innanzi a se (lualcosa, che non c'era. La cima lontana, lon- tana, invisibile, avvolta di mistero e di luce l'at- traeva, l'attraeva.... Essere stazionarU in arte è loi retrocedere! Era il suo motto: ed ella cam- minò, camminò sempre, ostinandosi, trasforman- ilosi. La celebrità di oggi non è più la celebrità di un tempo ; e a quella dell' artista andò con- giunta la mutazion della donna.... e, bizzarra os- servazione, sempre in senso inverso. — Come dire? 38 — Ecco: la Duse, al primo tempo della sua gTaiulezza, possedeva al sommo la faccia die uoi vediamo il più spesso nelle malattie generali del sistema nervoso, e, particolarmente nelle grandi nevrosi : la faccia convulsiva. L' occhio agitato da tremiti impercettibili, si recava rapidamente in direzioni opjjoste ; le guancie passavano con in- credibile rapidità dal rossore al pallore; le narici e le labbra fremevano ; i denti si serra van con violenza, e ogni più piccola parte del volto era in movimento.... La persona poi, a signilìcar ben compiuta la espressione del tipo, avesse guizzi serpentini, o abbandoni profondi, rispondeva per- fettamente coir azione e contrazione delle brac- cia, delle mani, delle dita, del busto, all'azione e contrazione del volto. E perciò, forse, la grande artista riusciva insuperabile nella presentazione dei personaggi a temperamento isterico. In quel primo tempo, l'ira, il disprezzo, l'odio, il furore, la gelosia, la simulazione, l'abiezione, la morte si confacevano al suo temi)eramento artistico assai meglio che la dol(;ezza, la tene- rezza, la rassegnazione, la convinzione, la sin- 39 cerità, il dolore; e però il pubblico rimproverava a lei di nou posseder che una uota, di non saper riprodurre che un tipo : il tipo, diremo, della ribel- lioue. Ma chi ebbe campo di udir la Buse, com'io l'udii, intere stagioni, e di studiarla e commentarla, du'ei, chiamato da una direzion di giornale all' uf- tìcio di critico, potè e dovè notar veramente l'esa- gerazione di quel giudizio. Ad afforzare il quale, molto si citarono a sproposito le attrici de' tempi andati, e non anche da' x^ochi vecchi obliate, per la lor pieghevolezza. Ma di qual pieghevolezza non die spettacolo su la scena la mia giovane eroina ? Qual grado di rassegnazione e di sotti- gliezza non seppe attingere ne' panni di Livia deW Amore senza stima f Quale di paurosa dolcezza in quelli di Pamela f Quale di angoscia n^ìVOdettaf Quale di vezzosa civetteria nella locaudiera Mi- randolina f Quale di passion dolorosa nella San- tuzza di Cavalleria rusticana f Qual corda non essa tentò della gran lira delle umane j)assionil Teodora, Mobilie di Claudio, Fedora, Innamorati, Demi monde, Signora dalle Camelie, Scrollina, Frou- Frou, Visita di Nozze, Fernanda, Bivor siamo, Fran- 40 cilloìi, Dioìmia, Moglie Ideale, e altic iiioltissinie e svariatissiine opere di più o men rilievo fuioiio il suo campo. Certo, coni' ho detto, Ella apparve più addentrata, come transtignrata, nel tipo nevrotico, isterico, stravagante, ribelle, pazzo;... ma dall'avere I)articolari attitudini a ben ritrarre luia cotal spe- cie di personaggi, al non averne pur l' ombra per altri di altra specie, ci corre. Il pubblico, troppo reciso a volte ne' suoi giudizi, è anche non facile alla contrizione; tuttavia, a giudicar con mente riposata, io credo che il sentimento, la dolcezza e la sommessione, potessero stare alla Duse, Cesa- rina o Lmnetta perfetta, quanto a Salvini, per- fetto Saul od Otello, V Amleto o il Paolo di Fran- cesca, e quanto, forse, alle invocate attrici, Yirgìme o Medee perfette, le Pamele e le Miraudoliue. Con l'andar del tem[)o e il crescer della rinomanza, ella restrinse il suo repertorio, raccogliendosi tutta in quel tipo che meglio rispondeva non solo alle sue i)articolavi attitudini, ma sì a un suo particolar bisogno, ]>iù ancoia: a una sua particolar voluttà di mostrarsi eattiva su la scena.... Ed al connubio, sì raro neiruomo in 43 genere, e nell'artista di teatro in ispecie, di qne- ste due grandi forze, inconsciente e consciente, elle concorrevano simultaneamente, armonica- mente all'aspirato fine, dovè allora la Duse gran parte della sua gi'andezza. Ma fosse pur nevro- tica o isterica o ribelle o pazza in su la scena, qual si mostrava allora fuor della scena ì Che infantilità di sorrisi ! che semplicità di tratto ! che umiltà nel conversare ! che famiglia- rità coi compagni!... Ebbene! Oggi, incalzando gli anni e il fato, nello studio profondo, minuto di una parte, eli' ha subito la più incredibile delle trasformazioni. La Duse, oggi, è somma nella dolcezza ; e non riesce più volte a trovar come un tempo la nota giusta e misurata in un di- scorso di grande violenza. Le scene con Antonino della Moglie di Claudio sono sempre una mara- viglia di cesello, mentre nella scena del secondo atto col marito, esce talvolta con la esplosione dai confini dì quella realità che è stata ed è tuttavia la sua bandiera. La scena d' amore di Silvia Set- tùia al primo atto nella tragedia della Gioconda di Gabriele D'Annunzio, è tal miracolo di tene- 44 rezza, clie non è possibile andar più oltre; men- tre nel terzo atto, quando Silvia si trova al co- spetto della Gioconda, e dispnta, o acciunula difese su difese, ragioni su ragioni, e si ribella, e minaccia, e inveisce tremenda, essa è sopraf- fatta dalla violenza.... La scena che potrebbe e dovrebb' essere una audacia di orchestrazione wagneriana, appare una sequela di note di testa succedentisi con monotonia stridente. — E gli ascoltanti si guardaron negli occhi, e disser a una voce: «vedremo, vedremo.» E sor- ridevano; e parca già loro di gustar meglio doi)0 il mio discorso il f/iom dell'attrice; e anelavan di essere al suo cospetto e comparare il loro al mio giudizio. Seguì un silenzio, durante il quale i tre so- gnaron già di essere a Bukarest, e di vedere e sentir la Duse ne' (li^'ersi atteggiamenti rattigu- rati dal temperamento e dall' ingegno di cia- scuno. A un tratto il signoro biondo interrogò: — E codesta trasformazione lui una data e una origine ! È dovuta anch' essa a qualcheduno, o a 45 qualche cosa ? Ebbe aucli' essa la sua Pezzana e la sua Eaquiu, la sua Sarah e la sua Bagdad ì — 8ì. Gahriele D' Annuncio e II sof/no di un mat- tino di Primavera. — Eh f ... — Gabriele D'Annunzio, il più imaginoso dei nostri scrittori viventi, e il i^iù fino cesellatore di frasi, che trasfuse nelle sue maniere tutta l'alta aristocrazia del suo stile, aveva serbato per la Sa- rah al Teatro della Renaissance di Parigi la rap- presentazione della sua prima tragedia: La città morta. Fu orgoglio dell'artista italiana di non voler esser da meno della rivale magnifica, e di pre- tender qualcosa di lui da recitare in quella sua andata a Parigi! O fu atto di gentil sommes- sione verso l'autor del Piacere, delV Innocente, del Trionfo della morte f O vid'ella forse nell'inge- gno di lui un'intima afllnità coli' ingegno suo! O non più tosto ella era attratta per senso di vanità verso il poeta glorioso e celebrato! O, finalmente, il suo spirito rispondeva inconsape- volmente a un occulto richiamo ! 46 Chi sa ! Noi sappiam solo che in capo a dieci giorni dal cervello del poeta era scaturito il canto della demente; e che in capo a i)ochi mesi, il genio dell'artista l'aveva rivelato alla gentil ten*a di Francia. « O grande Amatrice! » Egli le disse la prima volta che l'incontrò piangente dopo una scena con Armando nella Signord dalle Camelie.... « 0 grande Amatrice! » Non par saluto antico di bel cavaliere a gran gentil donna f... 0 grande Amatrice! Io non so fingermi il saluto in bocca d' uomo stecchito sotto la inamidatura di un alto colletto moderno. Né seppe fingerselo, pare, la gentil donna ; che, a entrar, per così dire, nello spirito del saluto, reputò utile di andarsi tutt' a un tratto, come assetata, frenetica, imbevendo, o meglio tingendo di tutti i colori del bel tempo antiquo ; e non sognò, né vide più che paggi dalle chiome flave, gemmati arcioni, cappe vermiglie, lucclii di broccato, bardature di oro e di argento. Le donne tur tutte Laure e Beatrici e l^i ammette e Gine\Te; e furono i cantori Guinizelli, Enzo 47 Ee, Gnittone, Cavalcanti, Abbracciavacca ; e i lor canti fiiron ballate e sirventesi e sestine e man- driali e cantate; e fu il tempo di essi Oalen di Aprile o Calen di Maggio.... A' poeti si mesco- laron gli artefici di quadri e di scolture; e si chia- luaron Desiderio, Donatello e Gaddi e Botticelli e Orcagna e Frate Angelico e Stamina e Giotto e Mino.... Vj tur visti danzar nella fantasia scom- posta Platone e Orazio, Virgilio e Socrate, la Bib- bia e il Piacere, le Vergini delle Eocce e l'Av- venturoso Oiciliauo, il Trionfo della Morte e i Eeali di Francia. E nell'arruffìo di tanti nomi, di tante opere, di tanti consigli, di tante ammoni- zioni, anche si affacciò l'idea di un rinascimento dell'arte della scena.... « Spontaneità, realità, tea- tralità.... com' è i)iccolo e volgare tutto ciò!... Qualcosa di piìi alto, di più alto !... Ohe ci rin- sangui, che ci rinnuovi'... Un'arte che rinfreschi le fonti dell' esistenza.... un' arte di purificazio- ne ! » e si costruì nel pensiero il Teatro di Al- bano; idealità grande veramente, che poteva e doveva significare a noi beneficio. Il conte di Fran- kestein aveva offerto l' area dove avrebbe dovuto 48 sorgere il teatro: alle imrte meridionali di Roma, sulle miKinìfiche sponde del ÌOfio di Alhano. presso i Mgni di Diana. Le maggiori gentildonne di Eorna a^ean fatta propaganda attiva ed efficace dell' idea. Iniziatore e propiziator del teatro: Gabriele D'Annunzio. Guidatrice artistica: Eleonora Dnse. Era bello, era nobile, era grande, non è vero t Ma quando si pervenne all' effettuazione, al- l' esecuzion delle opere, alla educazione dello stil novo, alla enumerazione dei drammi, a questa sopr' a tutto, la fede negli aiutatori si affievolì e si spense; il teatro di Albano non fu più che l'iniagine di un magnifico sogno. E pur, da codesto arrufì'ìo ella uscì con lo stile rinnovellato. Aveva perduto forse d'intensità; ma avea tanto acquistato di purità, da cui non andò mai discompagnata l'apparenza del vero. TI suo gesto vibrato, pifi volte incomposto, è so- brio ora, contegnoso, ma sopr' a tutto i)ittoresco. D'Annunzio Uà dedicato la Gioconda a Eleonora Duse dalle belle mani: forse ìion tutte ielle, fisi- 49 caiuente; ma, nella morbidezza dell'azione, nella eleganza sempre nova e varia degli atteggia- menti, nella lor snblime eloquenza, certo, esem- plare unico di perfezione artistica. Xegli accenti ha suoni adesso di dolcezza in- definibile, coloriti particolari, semplici, misurati, a ondeggiamenti musicali, sposati armonicamente al flessuoso muover di tutta la i^ersona. Ed è ciò che la tiene sì alto negli stranieri. Xè s' ebbe da quell' arruffìo solamente lo stile rinnovellato. Eleonora Duse è ricca di intelligenza sovrana, e ha tenacia di propositi senza pari. Già da tempo, al momento della rivelazione artistica, ella capì che non poteva esserci grandezza vera d'arte, se non accoppiata a una educazione in- tellettuale fuor del comune. Il tempo in cui con la volata, o la cannonata, o la bòtta politica si facean fremer le moltitudini non è più.... L'ar- tista poteva togliere allora o aggiunger lettere a suo piacimento, senza che l'oltraggio alla gram- matica attenuasse la sua fama di artista.... Col progTcdir dell'arte non progredì il pensiero di ta- luni che trovano anc' oggi superflua la coltura 50 della mente.... Ma i fatti stanno a provare che con la spontaneità, la intnizione, il fuoco, tutto insomma il coiredo naturai dell' attore senza la coltura che ne allarghi le viste, ne levi alto lo spirito, si potrà i)ervenir facilmente a grandezza nazionale; assai difficilmente, e forse mai, a gran- dezza universale. Bicordo la Duse a Firenze nella Oom])agnia di Cesare Rossi con la febbre del francese. In breve spazio di tempo le parve di saperne tanto quanto occorresse per istudiar lo sviluppo intellettuale della Francia su gli originali.... Leggeva e di- scuteva e ascoltava e apprendeva. Non v' era libro eh' ella non divorasse.... Né s' appagò più del contenuto dell' opera nel concepimento, ma volle anche goder del contenuto nella forma.... e ritornò allo studio fervida e paziente, e nelle regioni riposte della lingua si addentrò, e s' im- possessò delle sue incantevoli bellezze, e con esse, a grado a grado, di tutta la moderna letteratura in ogni sua manifestazione : scientilìca, lettera- ria, artistica ; artistica sovr' a tutto. E ricordo ancora. 51 Avauti (li andare a Londra con la Compagnia di Cesare Eossi, non più scritturata 'sta volta, ma capocomica, dovè recarsi per le prove a Fi- renze, ove tentò di rimettere il tempo perduto negli anni dell' incoscienza, correndo in lungo e in largo le gallerie ignorate, e ricercando avida su' capolavori degli artefici sommi le cele- brate bellezze.... E 1' andar in quei templi sacrati all'arte, solitaria, e col lume unico del Biideker parve a molti atteggiamento ciarlatanesco, più che bisogno intimo: ma ella s'era già discostata dal volgo. I biasimi e le beffe non la toccavano : pi fi esso radeva il suolo co' cicalecci confusi del- l'invidia e dell'ignoranza, più ella si estolleva serenamente alle sfere puritìcatrici dell'arte. Quel suo fervore inconsapevole fu una divinazione e insieme una preparazione. L' anima e la mente della grande Amatrice risposero al saluto lusin- ghevole dell' eletto cantor d' Isaotta coli' entu- siasmo febbrile e inconsiderato di chi vorrebbe tutto comi^iere in un sol punto, e noi potendo, si agita la notte smanioso pe '1 letto, pensando al travaglio del domani, e l' indomani a quello 52 del posdomani e vìa vìa seguitaniente senza ima tregua mai del cervello e dello spirito.... Ma ella, come s' è detto, intelligente e tenace, sbollito l'entusiasmo cieco, notò l' arruffìo, notò la tinta superiiciale dell'istruzione, e lo intento rallaigò, sì come vaga,... All'aristocrazia degli studi congiunse l'aristo- crazìa delle persone, aristocrazia di blasone e di intelletto, per modo che ella visse, non vegetò, in isfere ben alte, da cui non derivasse a lei che beneficio. Xon v' ha monumento di città da lei vedute eh' ella non conosca; non biblioteca, non pinacoteca. Le prime compere sue son di grandi riproduzioni de' capolavori dell' arte ; e di quei Botticelli, di (pici 3Iantegna e Yerrocchi e De- sideri, i nomi dei quali menaron ridde macabre nel suo cervello scomposto, oggi ella sa profon- damente la vita e le opere : e ne conversa volon- tieri, e il suo conversare, al dir de' colti in materia, ò di pieghevolezza rara e di singoiar solidità. Jiisognava vederla ora, a Berlino, discorrer nel Thkrgarteìi il gran Viale della Vittoria, tacita, so- 53 litaria, di primo mattino, e soffermarsi avida e pensosa dinanzi alle statue de' re prussiani, bian- cheggianti in fila da' due lati, sur un magnifico fondo verde azzurro ! ! ! Io vorrei che queste mie parole fossero udite e sentite da tutte le attrici del mio paese, affin- chè potessero intendere come la vita angusta della loro arte, agitata tra la prova e la cesta, la cucina e la recita, la recita e il letto, senza va- stità di orizzonti, o, peggio, senza orizzonti, an- che la lor fama sia angusta e non durabile. I trionfi delle voci magnifiche, delle incantevoli bellezze, delle intuizioni inconsapevoli non saran discompagnati, nella pochezza degli studi, dalle scoufitte di repugnanti volgarità, d' inettitudini miserevoli, di abborracciamenti stomachevoli. E vorrei sopr' a tutto che udite fossero e sentite nel profondo dalle giovani attrici, le quali facendo getto innanzi alle moltitudiui di lor doti preclare con inconscienza del loro spirito indisciplinato, ]ìrouiessa cara di avvenire glorioso, posson di- ventare. Dio tolga, nella imniutaì)ilità dell'arte loro, una delusion dolorosa. 54 — Poe' anzi — domandò il giovane — discor- rendo dell'ondeggiar musicale che è nella reci- tazion presente della Duse, voi diceste esser ciò che la tiene sì alto negli stranieri. Negli stranieri solamente f — Lo spirito italiano, fatto d'impetuosità pron- te e fuggevoli, fece mal viso al rinnovamento del- l' attrice, in cui vide, o credette, spegnersi il foco dell'anima, e venir dominando una cotale amma- nieratura, clie volea dire: alA)andono delle belle tradizioni f tutto un lìoema di voluttà e di scia/fura ! Essa ha {nella Locaiuliera) una fisionomia sì esjjressiva e varia, una mimica sì eloquente, una disione sì (jaia e scintillante, che par non si perda sillaha di ciò che dice. Non è jìossibile di avere mag- gior leggerezza, maggior fantasia, maggior vivacità. E ci ha anche, in tuttociò, un che di monelleria eso- tica, di un sapore piacevolissimo. Francesco Sarcey. I 2>in gran pregi della Duse, forse i .so//, ma da cui derivano di conseguenza tutti gli (ti tri, souo: la sincerità e la semplicità. La Duse non procede vi- sihilmente da veruna scuola: essa è lei, e, per usar l(( viva espressione di un gran poeta, recita nella sua propria pelle, lasciandosi andar tutta intera, 59 seuza premeditazioni, con nna verità non istudiata, e una varietà di mezzi die non attingon la lor po- tenza da alenno sforzo apparente; poieli ella è assai parea ìielle (/rida, e parva sopr' a tutto, ne gesti. Molto T applaudiron qua nd' ella irianse, e più an- eora quando ntorì. Ma si può imparare a piangere e a morir hene su la sema ; e uìì' attrice d' ingegno 2)uò, col tempo, far sì che il mestiere dia V illusione dell'arte. Ma ciò che non s' impara, ciò che hisogna aver nel sangue è a punto cotesta sincerità, cotesta spontaneità, cotesta semplicità nel riso e nel pianto, nel dolore e nella gioia, in cui risiede, senza forse che lo spettator se ne avvegga, la cagion vera del grande successo della Duse, il segreto degli applausi ch'ella avrà dovunque, in ogni opera, in ogni parte, oir ahhia da interpretar sentimenti umani. Emanuele Aeène. Tuttociò che i sì(oi hiografi ci han detto della sua ìndole e dell'arte sua, j>»ò compendiarsi in poche parole: essa è in modo assoluto sensibile e sincera con tale intensità, che non soltaìito esercita l'arte con la esperienza della vita, ma vive l' arte come la 60 vita; che e come dire, eh' ella plasma ciasGliedun de' suoi peniOìUKUji con tutta V anima sua e tutto il suo corpo, se)i:a alcun risparmio di se. Ella è successiramente, e completamente e perfet- tamente Margherita Gautliier, Cesaviiia, IMagda, padrona di locanda o innamorata di rilla(/gio. Non l' abbiamo vista nelle grandi figure di Shalispeare e de' tragici greci, ma l' artista che fu constante- mente Eleonora Duse nelle persone più varie, come quelle di Dum((s figlio, di Sudermann, di Goldoni, di Verga non jjhò esser mai altra, qualunque siano il temjjo, la condizione, il carattere da lei incarnati. Adunque monotona f Ah! no! Non r' ha peggior guaio a teatro, capace di guastar le più belle doti, del somigliarsi ognora, restendo ogni ruolo a la me- desima foggia, e facendol discorrere con la medesima voce. Noi abbiamo degli artisti degni di molta esti- mazione, 0, addirittura, di primo grado, uomini e donne, che non ci fan mai dimentieare di (rorarei in conspetto all'attor Tale o all'attrice Tale. Con la Duse accade appunto il rovescio: ella è ciaschedun de'' personaggi che rappresenta: vale a dire, ch'ella interrompe la sua vita proprio per viver la loro: 61 (Ila (' ad essi snììordinata, diitro ad essi celata. Altri si seri-on delle loro parti; ella serve le sue. Altri si fanno in esse ammirare.... essa le fa am- mirare in se. Gustavo Laukoumet. Essa è fuor di duhhio incantevole nella Commedia {e sopr' a tutto nella Locaiidìera), maliarda nel dramma. J^ssa è uìia mistificatrice di primo (/rado; e con ciò intendo di elogiarla. La sua mimica sciìta tregua, a mal grado di alcun gesto troppo fami- gliare e eh' è a lei famigliare, afferra lo spettatore, non gli dà ìnodo di discuter coìi lei, di riflettere, quasi direi, di respirare.... Enimco Fouquier. Noi qui non ahhiam più il teatro con le sue con- venzioni, il suo allestimento scenico artifiziale, gli ef- fetti studiati, la truccatura fisica e morale, ma la realità vivente, portata su la scena con mezzi di una ammirevole semplicità, ma « la vita >■> sì per l'artista, sì per lo spettatore; e per questo una com- mozione ineffahile die lo serra, e lo conduce a forza 62 a scffuìr l'azione jìsicolof/ica in tutte le sur siusa- zioìii, sino (dia suprema^ che è la morte. La Duse ììoìi procede cìie ila se .stessa, e non può esser com- parata a chi che sia, pero eli eli' è ineomparahile. Io confesso che se alcuna cosa dee caijionar In stupefasione, egli è la siu( transformazione. La ve- demmo in Margherita Gautliier « la Signora dalle Camelie », ricca di ^>r(.s.s'/o»P, commossa e commori- trice, che tocca il colmo del drammatico nell'atto della morte; la vedemmo il dì dopo in Magda, una parte meravigliosa di composizione, ov' ella fu vi- cendevolmente graziosa e eurezzevole nella scemi del ritorno ; ammirevole d' ira e di sdegno nella scena con Keller;, stupefacente di umiltà nella Jiglial te- nerezza ; perfetta, in somma, in tutto il personaggio, sì che dopo il terzo atto, si potè dire di avere as- sistito alla più maravigliosa esecuzione drammatica che imaginar si potesse, vero capolavoro di eotest' (irte complessa del teatro. Ed ecco che oggi, quasi a mira- col mostrare, all'opera di azione e di commozione, al dramm(( passionale e alla tragedia borghese, tic n die- tro la pura commedia di genere, la commedia comica. 63 E(ì (' la stessa artista del dramma e de/la tragedia, che, mutando portamento ed espressione, di prima donna di' eli' era, do venta a un tratto servetta, fa seguir, senza pena, e come se fosse un gioco, il riso alle lagrime, la frivolezza e la corbellatura a la viva, passione. Né crediate che la transformazione si fac- cia per metà, e che la perfezione sia minore qui che altrove! EU' e sempre la stessa: e sembra compire il maraviglioso atto, quasi direi senz' adda r sene, per modo che ci si domanda se siamo ancora in con- spetto all'artista medesima. Felice Duquesnel. Se essa è in buona disposizione d' animo, e se al- cuno è in teatro, per cui metta conto si reciti {come diceva Desclée), la Duse reciterà.... {no : non si dee dir recitare) la Duse con le sue labbra, i suoi occhi, tutto il suo cuore e tutta l' anima sua, vivrà il suo personaggio, con tal verità di espressione, che voi n uscirete sbalorditi. Ernesto Tissot. Mm artista, mai donna seppe ugualmente e sce- nicamente soffrire, volere, desiderare, odiare, amare. 64 temere e sfidar il pericolo. Tutte le commozioiii, tutti i sentimenti fu ron espressi sul suo volto, o(/ni moto dell' anima sua significato da un cenno, ogni atto da un carattere, di cui V impressione fu imperiosa, forse involontaria, perchè reale al sommo: e al- l'esterno poi, alcuni segni patetici, imagine di sue segrete agitazioni. DoM Blasius. Quel che vi ha di marariglioso in lei è il mutar siibitaneo della espressione facciale, il suo alterarsi e costante rinnorellarsi, con mm naturalezza e unu sicurezza che confondono. La Duse può recitar qui in italiano, e anche in cinese: si capirà sempre ciò ch'ella dice con im linguaggio della fisionomia straor- dinario. La voce, un po' debole, è incantevole, argen- tina, fresca, musicale, somigliante a un mormorio di cascatella, ove si sente la leggerezza e la carezza, e insieme la forza. Emilio Faguet. Io devo a Eleonora Duse le più vive delizie che il teatro può dare.... Essa recita {nella INIo^lie di Ckiudio) con mia veemenza e una varietà di espres- 65 sione fommotrke, die tocca il sublime. Il personaggio dì Cesarina, studiato e peso per un pubblico che non capiva il suo linguaggio, è doventato non solo at- traente, ma penetrativo con la forza e il magnetismo del suo genio.... Ahi! la parola è sfuggita.... ma, ormai essa è sulla carta, e dirò come Pilato: « quel che è scritto e scritto. » La limitazione medesima delle sue doti fisiche serve a dar risalto al suo spi- rito e alla sua intelligenza. Ella pare più comple- tamente viva d' ogni altra persona da me vista su la scena. William Archer. Da Frédéricìi-Lmiaitre in poi, non ho più pro- vate somiglianti emozioni. Edmond Got. È una grande, una grandissima artista, per ogni verso ammirabile. Paolo Taillade. Niuno più di lei ha il dono di commuovere con tal semplicità di mezzi, che è di per se una cosa am- mirabile. Ella dà se intera, senza premeditazioni, ed è per tal modo la verità stessa. L' ho detto quan- 5 66 d'ella r (irrirdtu ; o(/(fi soti tutti d'accordo in cele- brarla. Meglio così ; poich' ella è artista (f rande tra le pih ui(( (faccia; ancora: tu ti credi iì re (IcW Uni verso. Imayina questo mistero su tutto il suo corpo! Ima- (jina i)er tutte le sue memora, dalla fronte ai tal- lone, questo apparire di vite fulminee! Potrai tu scolpire lo sguardo? Oli antichi accecarono le sta- tue. Ora — imagiìta — tutto il corpo di lei è come lo sguardo. — Perfetto!... Se la conosceste!... Franz Len- l)acb.... il gran riti-attista havarese, clic si diver- tiva a fissar le diverse espressioni eli' egli coglieva a volo in teatro sul volto della Duse, aveva tap- pezzato il suo studio a Palazzo Borghese di trenta schizzi, che i)ersoniflcavano i diversi moti del- l'anima umana. — Un' idea mi afierrò, e guardai l' orologio. — Oh, abbiani tempo, abhiani tempo!... — E m'alzai, e frugai nella valigia, e ne trassi ini pacco di fotografie, che diedi in pascolo alTaxi- dità de' miei compagni, lieto di studiare le varie impressioni, svegliate in essi dalle facce diverse. — Impossibile! Impossibile! Questa non e que- sta. — E ciascuno fissava li occhi alternativa- 73 mente or su l' una, ora su l'altra. — Che galanteria! Non ha vent' anni qui ! Che profumo di dolcez- za!... E pur domina in questo sguardo un senso di mestizia !... Oh ! De- v' essere profondamente amorosa ! — O grande A matrice ! — disse il giovane sor- ridendo, lieto del ricor- do.— E questa — saltava poi su a dire — mette spavento.... Il volto, là, spianato, levigato, senza una piega che ne alteri la purità delle linee, par qui convulso dal furore. — Guardate ! Guarda- te ! Qui non è più l' ima- gine del furore; ma nel- 74 l'occliio strana mente aperto, nel sopracciglio aggrottato, è come una forza occulta domina- trice. — Ah! clie carezza! Ohe riso nella bocca, nel guardo, nelle guancie paffute! E che aria mot- teggiante ! — Ah! Muore! Muo- re ! Mette pena ! Non l)osso vederla! Guardate voi, signore ! — Non è possibile ! Non è lei! Non è l;i don- na medesima ! — E ripostele fotograiìe, io dissi : — La m ulti t'onu ila delle espressioni che vi è i)assata davanti agli occhi, e che forse, come 75 ho (letto di credere, Ga- briele D'Aiiuunzio ha voluto fissare uel mara- viglioso ritratto fisico della Gioconda, rispec- chia fedelmente l'indole visibile della donna, che muta a punto d'attimo in attimo, come la nn- vola. Essa vi appare nel- la medesima ora meschi- na e magnifica, gentile e sgarbata, dedita e relnt- tante, socievole e selvag- gia, verbosa e mutola, avara e munifica, auste- ra e affabile ; ma in ogni caso e in ogni momento la più astuta donna che abbia mai vista o potuta imagiuarc. Un suo lieto saluto, un suo sguardo amichevole par vi chia- 76 mi a lei : vi movete a parlarle, e la Insiiigatrice vi ferma con un improvviso aggrottar delle ci- glia. A volte si abbandona alla più sfrenata lo- quacità, ed eccola rivelarvi apertamente, pompo- samente quella coltura, a cui prima accennai. E come accade nel sogno di veder trasformarsi im- mediatamente e inconsapevolmente e i fatti e i luoghi e le cose; nello irromper così delle parole, voi assistete alle più maravigliose metamorfosi, create dalla più scompigliata delle fantasie. Io vorrei poter dirvi ciò che vorrei dirvi. Mi è vietato dal tempo: ma ci vedrem forse, certo, a Bukarest; e allora potrem ripigliare il racconto. Ho da scriver le mie impressioni sull'artista ma- gnifica, ed è perciò che io reco nella mia valigia tutto (piello che mi può essere utile: fotogralie, opuscoli, giornali.... Oh ! I giornali! Ohe diversità di giudizi ! Ohe cumolo di corbellerie, sopr' a tutto quando si viene a pemtrar nella vita impenetra- bile di lei ! Quante cose le si fan dii-e e fare che non ha mai ne dette, nò fatte! E la Duse dietro le scene! E la Duse tra' comici! E la Duse in casa! E le aspirazioni della Duse! E gl'itinerari 77 della Duse! B le nuove interpretazioni della Duse! Che pazzie ! Xiuno de' comici, ne de' più vicini, impresario, amministratore, segTetario, può sapere oggi dove la Duse aucb-à domani. La Duse non muta repertorio. La Duse, fuor della scena, è impenetrabile, per- chè, sopr'a tutto, la Duse, tal volta, par non sap- pia quello che dice; e non dice mai quello che sa. E queste mie atfermazioni risulteranno ciliare dall' esposizione dei fatti che io intendo di rivelar sinceramente nel mio libro. E comincierò a punto dalla vostra terra a studiar profondamente l' ar- tista e la donna : che voglio avere delle sue vaste concezioni, della minuziosità de' particolari ch'ella mostra nella rappresentazione di un personaggio, de' suoi atteggiamenti fuor della scena un' idea precisa: e avrò il coraggio di dire intero e nudo il mio giudicio; ma qualunque e quantunque pos- sano essere le osservazioni che io farò, non sa- ranno per me che tenuissime ombre, non mai of- fuscanti la luce vivida che scaturisce da lei, sole dell'arte nostra. 78 — Il vostro libro sarà ccrh» una liran i.ovità. — Oli no! Tutt'al più una verità. — E distruggerete la leggenda! — Certo. — E leggenda è ancora ([uello che riguarda i disdegnosi rifiuti a inviti di Sovrani ! — Qui spalancai li occhi, e li lissai stupefatto nelli occhi degi' interrogatori. — Che dite ? — ì^on ò forse vero il fatto riferito dai gior- nali di tutto il mondo.... — Altro, se è vero! — scattai, troncando a mezzo la frase. — Ma è un orgoglio ridicolo. — Ah! Orgoglio forse:... ridicolo, no! — Voi l' approvate ì — Altro !... E voi anche, e tutti quei che posseg- gono il senso della dignità. La diilerenza che è tra la Duse e noi, è questa sola: che noi non s'avrebbe avuto, ne s'avrebbe forse il coraggio di rifiutare l'invito di un ile. Io coni])rondo Ade- laide Kistori, che sotto le spoglie di ^Stuarda, con la faccia imbiaccata, cogli occhi incavati dal nero 79 filino, accetti di andar nel palco reale a ricever gli omaggi della Eegina, per gittarsele d'un tratto a' piedi a impetrar grazia per un condannato a morte; ma non comprendo l'nomo o la donna, che a guisa di buffone, traversi i corridoi xwpo- losi di un teatro in un intervallo d'atto, al solo intento di andar a ricevere gli omaggi di un Ee o di una Eegina. Comprendo l'autore dell'oliera: esso è lui : è Verdi, o Wagner, o Saint-Saens, o Massenet, o Mascagni ;... e l' invito di un sovrano nel suo palco è degnazione per l' uno, può essere orgoglio per l'altro. Ma l'attore non è più lui; egli è un personaggio ; e quando cessa di essere personaggio, pur serbandone i panni, è un uomo in maschera: e le maschere non son permesse che di carnovale: e la Duse ha avuto il coraggio di farlo capire. « Vogliate dire a Sua Maestà, » ri- spose la sera del 9 aprile 1895, dopo la rappre- sentazione di Cavalleria rusticana al signor Alhai- za, che era andato a invitarla in nome della Sovrana a recarsi nel palco reale, « che le son molto grata dell' invito onorifico, ma Ella capmi, son certa, eh' è uniiUante j)er una attrice di tra- 80 nr.sar li corridoj pubblici di un teatro, in costume di scena. » Qualche settimana d'avanti, il Ee del Wnrtem- berg' s'era recato sul palcoscenico in conii)agnia del suo Maresciallo, clie mandò a bussare all'uscio del camerino della Duse, per pregarla di ricever Sua Maestà. « jVIi duole assai, signor Maresciallo, ma non posso ricevere Sua Maestà. Eingraziate, vi prego, il Ee de' suoi rallegramenti, che mi ono- rano, ma.... » Il Maresciallo insistè perdi' ella ri- cevesse il Ee, e la Duse rispose 'sta volta, che non entrerebbe in iscena, se non quando il Ee fosse entrato nel suo palco. Benissimo ! Benissimo!... Allor quando mi toccò di presentarmi.... Ah ! Proprio con la Duse.... — Voi? — Sicuro! Quando si celebraron le nozze della Principessa Isabella di Baviera col Principe Tom- maso Duca di Genova, fratello della nostra Eegina, fra gli altri festeggiamenti fu la rappresentazione del proverbio Un bacio dato non è mai perduto, del Barone De Eenzis. Vi recitammo la Duse, Cesare Eossi ed io. La prinui tila dell' illustre platea ini- 81 provvisata in un' ombreggiata spiazzatella dei giardini del Quirinale era occuijata tutta dagli Augusti Principi, il Ke, la Regina, il Principe ereditario, la Duchessa di Genova, il Duca d'Ao- sta, Isabella, Tommaso, ecc. Finita la recita, non eravamo ancor rientrati ne' camerini, il Prefetto di Palazzo Panissera, ci venne a dire che S. M. la Regina desiderava di vederci subito. Fu un colpo improvviso ! La Regina!... La Regina!... Pa- zienza ancora ! Fosse stata al meno sola ! Ma e quelli che la stipavano intorno? E tutti i nobili invitati che si rizzavan su le punte de' piedi e aguzzavan gli orecchi all'intento di cogliere un motto dell'Augusta Sovrana? E badate: a volerci usar l' alta finezza di dirci Ella stessa il suo gi-a- dimento e il suo compiacimento, non avrebbe avuto altro modo; che le parti del programma si seguivan nelle varie parti de' giardini senz' om- bra d'interruzione. Adunque fu da\^^ero pensiero squisito della Donna squisita, e noi dovevam sen- tircene, com' eravamo infatti, superbi. E nondi- meno ! !... Ci sembrava di essere bestie rare ofterte in pascolo alla curiosità della moltitudine ! Kon 82 più eravam noi Marchesa, Duca e Conte; ma Duse, Eossi e Rasi, masclierati da Marchesa, da Duca, da Conte, con abiti di broccato, calzoni corti, par- rncche bianclie, scarpette atiibbiate, e gliiglie e grandiglie e spade e spadini; pieganti ogni tanto la testa, come burattini meccanici, a una parola gentile della Donna gentile. A questo pensavamo, e questo vedevamo : e se le nostre facce non aves- sero avuto un buono strato di bianco di giglio e di belletto, ci saremmo coperti, nonostante la dolcezza di quella Donna, del rossore della ver- gogna. — Sì pel genere del racconto, sì per la concita- zione febbrile, direi quasi romagnola con la quale lo feci, mescolato di più parole italiane e dialet- tali a loro incomprensibili, i tre non contennero alla fine le più gaie risa. — Nò crediate — continuai a dire — clic la Duse abbia moti di spregio per l' omaggio al suo ingegno. Ella sa più e meglio d' ogni altro che tal modestia le tornerebbe in superbia. r>isogna vederla davanti al pubblico alla fine dell'atto (non mai della scena) con quai segni di commozione ri- 83 ceve ì segui dell' aiiiiuirazionc! Ma (|uel tratto che separa l' artista dal pubblico, siguitica pur qual- che cosa! Il pubblico resta una massa invisibile, e l'artista, su la scena, è sempre nel suo regno. All'ultima rappresentazione di Berlino al Teatro Lessing, la Duse recitò prima il secondo atto del- V Antonio e Cleopatra di Shakspeare, poi l'ultimo della Adriana Lecouvreur di Scribe e Legouvé ; e tìnal mente l'ultimo (scena di Chiarina) deWM/mont di Goethe. Cleopatra quella sera riportò la palma. Forse dopo la gran scena con lo schiavo, in cui la Duse dà intera l' anima sua, ella si trovò estenuata così, da non poter mettere nel tragico vaneggia- mento di Adriana avanti della morte quella forza che avrebbe dovuto e voluto.... La risoluzione di recitar la scena di Egmont fu presso che improv- visa; e la Duse si presentò in essa impreparata. Le ripetute prove all' ultim' ora non valsero a farla padrona delle parole, eh' ella aveva sì nella memoria, ma non in bocca: e, ciò che pare strano ed è pur naturale, allor quando gli artisti di prosa non son sicuri della propria parte, più tosto che rallentar la dizione, seguendo sommessi la guida 84 (lei suggeritore, si lasc'iaiio nudili' eieeauieute ove il lor destiuo li couduce, simili a cavalli, che, viuto il freuo e suiarrito il lume delli occhi, si dàuuo a corsa pazza e precipitosa. Ma quello che io vedeva e gli esperti vedevauo, nou vedeva il pubblico, il quale a sceua termi- uata proruppe in tali acclamazioui, che la Duse couimossa restò lì a iuchiuarlo più volte. E ve- dendo non calare il sipario, si diede smarrita a guardare ora il suggeritore, temendo non avesse dato il segno d'uso, ora in alto, temendo non fosse avvenuto alcun guasto nel congegno delle funi.... Ma ecco venire su la scena con gran corona di lauro il direttor del teatro, Otto Xeumanhofer, il qujile, fattosi un gran silenzio, proferì un breve discorso, in cui tra l'altre cose era detto: « La Duse domanda : qual' è la mia i)atria ? Si può risponderle : dovunque si ammiri e si aj)- prezzi 1' arte. » E con eh inde va: « La vostra lingua ha una parola che esprime 1' ammirazione, l'entusiasmo, il desiderio: Arrive- derci » e tese frattanto la niano, eh' ella^ riavu- 85 tasi (la la stupefazione, strinse con uno di quei sorrisi incantevoli, in cui era una chiara espres- sione di commozione e di gratitudine. E il pub- blicò scoppiò novamente in applauso ancor più fragoroso, al quale sta volta s'andò congiungendo di su la scena, come per attrazione, quello degli artisti non men commossi di lei. Il nastro clie ornava la enorme ghirlanda, re- cava sul destro lato: LES8ING AUGURÒ CHE ARTE E NATURA FORMINO UNA SOL COSA IL TEATRO CHE NE PORTA IL NOME INCHINASI RIVERENTE AL GENIO DI ELEONORA DUSE CHE REALIZZÒ LA SPERANZA DEL POETA 86 e snl sinistro la data delle rappreseutazioiii che fiirou dal 16 settembre al 5 ottol)re del 181M). ( )h ! la sovranità di quel pubblico ! E votatosi il teatro, fu fatta una fotografia magnifica di quella scena di Egmont, per essere pul)blicatn nella i)regevole rivista di Giorgio Elsuer Biihua und Welt, e che io, col suo con- senso, riprodurrò in parte nel mio libro. — 87 Arrivati a Cracovia, prendemmo commiato dai nostri viaggiatori e scendemmo. Una guardia c'in- dicò l' albergo Pollerà, nella Spitalgasse, abba- stanza buono, a due passi dalla piazza del mer- cato. Si doveva ripartire il domani alle 8,35 di sera : v' era dunque tutto il tempo di dare uno sguardo pacato alla città. Ma la tristezza clie vi regnava al nostro arrivo, ci strinse per modo, clie non s'el)be più clie il desiderio ardentissimo di uscir da quella terra di tenebra, ove ci pareva di essere esiliati in Siberia. Di buon mattino, era un sole magnifico e un freddo indiavolato, ci demmo a visitar le bellezze della città, prime le chiese, ricchissime di stucchi, di scolture in legno, di intagli, di pitture, di ara- beschi e ori di ogni specie, con le pareti e le colonne e il soffitto variopinti. Il Castello, in fabbrica, non potè esser veduto che in quella parte oscurissima, ove son le tombe dei Ee e dei Grandi di Polonia; e anche della gran Chiesa non s'ebbe che una pallida e fug- gevole idea. Si notò il chiostretto di Santa Barbara, una 88 vera galanteria, e quello di Sant'Adalberto^ che par (luasi addossato alla snella torre del vecchio Municipio. Ma non la Torre Floriana, non il mo- numento a Mickiewicz, non la Bastei, non Wawel, non Skalka, non il Teatro di elegantissima strut- tura, rallegrato in giro da un gran riso di piante e di fiori, e in cui quella sera, e poi si dolgano i nostri, si rappresentava in polacco la insipida Ma Brìi di Carré e Bilhaud; nulla, dico, ebbe forza di allettarci per un sol momento. Si con- tavan le ore e i minuti: e la previsione di una trista notte vegliata in treno, ci ai)pariva nien triste della realità di quel giorno trascorso a Cracovia. Dedicammo il pomeriggio al quartier degli ebrei, che son, dopo le chiese, la maggiore at- trattiva del luogo. Ve n' avea d' ogni colore e d' ogni specie : col cappello di velluto, indizio di signoria, e con quel di felpa nera, fatta ros- siccia dal tempo, spelacchiato, macchiato ; col lungo e ampio tonacone di iianno relativamente pulito, e con certi soprabiti di ogni foggia, di ogni tinta, di ogni condizione.... Ma tutti grifi 89 e ceffi e grugni dalla, barba incolta, dalle carni livide, dall' occhio torvo e sinistro, dal caratte- ristico ricciolo scendente ai lati davanti all' orec- chio. E s' udìan dispute sommesse, misteriose, d' affiiri in piccoli crocchi, in capannelli, rotte ogni tanto dal gridìo di certe donne sucide e grasse, che dalle lor bottegucce improvvisate, disposte in fila lungo la via, chiamavan i passanti con inchini e sberleffi grotteschi, che parean di scimie. Usciti a più spirabil aere, per modo di dire, ci fermammo su la Piazza maggiore, ove s' era vista l'insegna di un cambia valute sur un usciolo a vetri, largo a pena quanto bisognava al passag- gio di un uomo. Entrammo. La bottega, angusta poco meno dell'uscio, accoglieva sul davanti una donna voluminosa e abbastanza i)ulita, dall' oc- chio vivace, dalle guancie paffute e rubiconde, dall' aria pastricciana. Ci sembrò per un mo- mento che da quella bocca di Veneranda dovesse uscir limpida e snella la melodìa del linguaggio toscano. Ma ohimè ! Formati appena due stridi gutturali in orribile tedesco, con un cenno del capo e della mano, ella c'indicò il fondo del bugi- 90 gattolo, ov'era accovacciato un enorme 8ylock, lercio, spaventoso, il quale, udito il nostro bi- sogno, trasse con un grugnito di sotto al banco un picciol sacco pieno di monete d'oro, e ci die quel po' che ci occorreva, lìssandoci biecamente a ogni moneta die lasciava sulla tavola, e vol- tando e rivoltando nelle mani a una a una, con atto di aperta diffidenza, quelle che noi gli da- vamo in cambio. E uscimmo ! E ci attrettammo più presto del dovere alla stazione, ove la vista dei convogli, i fischi delle macchine, l'andare e venir della gente, e sopr'a tutto il pensiero della vicina par- tenza, ci andavan togliendo a poco a jjoco la grande oppressura. Il viaggio di notte fu abbastanza l)uono, col- l'aiuto del solito spediente di una buona mancia al conduttore, che serbò un compartimento per noi sino al levar del sole. A un tratto un lungo fischio annunciò l'amvo imminente a Itzkany, che segna il confine fer- roviario tra l'Austria polacca e la Rumenia. La visita del piccolo bagaglio doveva farsi in treno, 91 e iiiiiii de' viaggiatori si mosse dal suo posto. Di lì a poco entraron due agenti ferroviari, un de' quali, giovane e assai garbato, andava prendendo note in un grande registro. — Il passaporto I — I miei nuovi collegbi di viaggio avean già pre- ste le lor carte, da cui l' impiegato trascrisse i nomi : poi si volse a me con la mano aperta ad aspettare. — Il passaporto. — Ma io non ho passaporto. — Eh ? Ciò è male. Non potete passare. — Ma io non ho mai saputo di passaporti; e (lacchè viaggio non ne ho mai avuto. Nessuno m'ha accennato a qnesto bisogno, e io non vi ho pensato. — Dovevate pensarci ; — replicò freddamente — non potete passare. — Come! Io sono della compagnia dramma- tica della signora Duse. Ella è passata jeri notte con gii altri. Non potei seguirla, perchè ho la moglie malata: ho dovuto fermarmi a Cracovia. Vi prego. Volete altre carte? Posso mostrarvi, senza il passaporto, chi sono. — 92 Il gioviiiic non proferì sillaba. Soltanto, a una sommessa interrogazione del compagno rispose anch' ei sommessamente: — Oh! sono italiani! — E passaron oltre. I miei viaggiatori si gnardarou muti, poi guar- daron me; e letta la soddisfazione sul mio volto, dissero : — Avete avuto una gran fortuna: l'impiegato è stato buono con voi. Con che atto dì rassicura- zione egli ha detto: Oh;, sono italiani! Ciò non av- viene a tutti: avete avuto una gran fortuna. — E la conferma di quella bontà e di (piella for- tuna m'ebbi poi dalla Duse medesima, la quale mi disse com' ella, se ben signora, non avesse avuto tal garbata accoglienza. Additata dagl' im- piegati col nome di zingara, ripetuto in coro come uno sfregio, fu lasciata andar oltre dopo molte preghiere, mercè l'ostaggio dell'impresario 8chiir- maim. K nel narrarmi il caso, ella s'andò meco rafifìgurando sola, di notte, in terra ignota, in balìa di ignoti, derubata, prostrata; e l'imma- gine terribile s'findò facendo realtà i)er lei; e n'ebbe un brivido intenso e rapido. Non molto 93 dunque l'ini»Tesso uel [>iU'.se de' rumeni, che per il tipo, il costume, la dolcezza della lingua so- lcai! chiamarsi fratelli nostri, ci affidò di uu lieto soggiorno. A mano a mano che ci si appressava a Bu- karest, il nostro vagone s'andava popolando di viaggiatori : visi abbronzati, capellature folte e brune con ritiessi di viola, spalle quadrate. Anzi- ché muover verso l'oriente mi pareva di scendere all'estrema punta del nostro stivale. Un fischio lungo del treno ci annunziò il prossimo arrivo; e dopo qualche minuto, ijosto il piede nella Ca- pitale della Eumenia, salimmo, mia moglie e io, in una magnitica vettura a due cavalli storni, guidati da un cocchiere magnifico, in cui la mae- stà della persona, ravvolta di un lungo tonacone di velluto nero legato alla vita da una fascia rossa, facea bizzarro contrasto con la gaiezza della fac- cia pafltuta e sbarbata, e col suono infantile della voce, indizio barbarico della setta russa dei li- lìoveni (scopitzi). Scendemmo a un albergo fuor del centro, al di là della strada Lipscani, indicatoci da un giovane 94 via.n'iiiatore, il quale ci aveva pure indicato il luogo ov^e recarci a inaiigiar quella sera, « semplice — disse lui — ma conveniente e rinomatissimo per l'eccellente cucina. » L'albergo, Gabroveni, se ben ricordo, era assai più che modesto: le ca- mere, né meno a buon mercato, eran pressoché nude;... ma i letti vi eran Imoni e puliti; e que- sto s'intese poi esser tal requisito non comune al paese, specie per le camere d' affitto. « Una notte i)assa presto » si pensò; e ci occui)ammo sopr' a tutto di una sollecita ripulitura per an- dar a mangiare. Dopo alcuni passi a manca, fuor dell'albergo, ci si trovò in una vasta piazza de- serta, ma pittoresca, piena di panche e tavole rovesciate, ammonticchiate; di botti, e tende, e panieri: una piazza di mercato. Non un negozio aperto ; ed eran le dieci. Seguendo le indicazioni del nostro viaggiatore, piegammo a diritta, in cerca delhx stradetta ov'era situata la trattoria sospirata. Stradette ve n' erano, ma bu je, sudicie, senza l'accenno a un sito i3ubblico di cpialsivo- glia genere. Non uno zitto. E si camminava len- tamente, misteriosamente, fermandoci ogni tanto, 95 e volgendoci iudietro, a diritta, a iiiaiicina, col ti- more clic il ]i\ogofat((ìe ci fosse sfuggito d'avauti agii occhi, e cominciaudo a dubitar forte di un falso iudii'izzo. Ma ecco finalmente de' passi.... Avventuriamo la domanda in francese: — Scusi, saprebbe indicarci la trattoria i^isc/jer.^ — Oi son quasi. Vedon là a mezzo di cotesta viuzza a dritta un lumicino! È quella. — E andammo. — Vedi, poveretto? L'avevam già calunniato. E deve esser luogo conosciutissimo. Hai visto come ba capito subito f — E fummo, in così dire, all'uscio della bottega. Un uscio sgangherato, con vetri sporchi, di tra i quali si scorgeva una cameruccia angusta, su- cida, affumicata, disabitata, con ninna traccia di trattoria o d'osteria. Il moto primo fu di repul- sione ; e stemmo un istante a interrogarci negli occhi con atto desolato. Ma poi « chi ci cono- sce?» dicemmo a un tempo, ed entrammo. Ohi sa dire se ci fu buona fede, o scherzo villano a indicarci quella stamberga? Si passò dalla cucina, ov' erano seduti attorno a una femmina mador- 96 naie tre o (juattro tipncci, torso hi miibile, ingiustifica- bile: ogni opera drammatica rappresentata ai teatri Vaudeville, Varietà, Ginnasio, doveva esser mescolata di couphU con sortite in musica. Dumas dovè transigere: intercalò nel dramma la canzone di Gastone e il coro finale del primo atto, e la Signora dalle Camelie fu recitata final- mente, cantata e sonata con successo enorme; solido, perenne, nuitabile forse nella forma, non certo nella sostanza: il dramma, che parve allora un.'i immoralità inaudita, era già stato scritto 108 nel Giapi)one tremila anni avanti; e potrà sem- pre scriversi, aggiunge a punto Dumas, in tutti i paesi del mondo, ove sian de' giovani e delle cortigiane. A serbar dunque intatta nell' ammodernamento della forma, la sostanza del carattere che la Duse presenta al suo primo apparir su la scena, bisognava dispogliar l'opera di tutti quei rigonfi di romanticismo, che lo fan vecchio e stucche- vole. Non più canzone, non più coro, non più sottolineature musicali al momento della morte, (sottolineature che ricordo ancora di aver in- teso, entusiasta, con la deliziosa Désclée), non più l' apparizione degli sposi, a l' ultinu) atto, che ha spremuto fin qui sì gran copia di la- grime col teatrale contrasto di quel velo nu- ziale, messo a canto a (piella veste di morte.... Margherita e Armando.... l'eterno poema del- l'amore, senza fronzoli, senza ammanierature.... Un tipo di donna, vero, moderno, uscito ora dalle mani dell'autore esperto, logico dal prin- eii)i() alla line. Nella sua apparizione, nella sua conversazione, nelle sue gaiezze a tavola, è seni- 109 pre nn fondo di mestizia. Quello sdrnjarsi della Duse or sn di un divano, or su di un altro, senza posa, con parole faticosamente sospirate, esprime in modo i)erfetto la stanchezza del suo corpo, l'esaurimento delle sue forze morali, il tedio della vita.... Quel fondo di mestizia dice forse (]ual forza d' amore sia occulta nel suo cuore.... Essa non è innamorata, ma è amorosa.... Ride perchè vi è costretta dall'ambiente e dal suo stato; ma quel riso non è che un torcimento di bocca : il cuore è lì chiuso, miseramente chiuso, inavvertito, come inesistente. Il giorno che la scintilla farà scoppiare l'in- cendio latente, la povera insensi l)ile diventerà nell' attimo la grande amatricc. Non l' amatrice, come si vorrebbe, appassionata, sfrenata, capace di un delitto nel fervore dei sensi; ma l' ama- trice profonda, indetinibile, capace del più gran sagriticio: nella Gauthier, Eleonora Duse mette un po' di Silvia Settàla. Oh se Alessandro Dumas potesse udire alla distanza di mezzo secolo que- sta maraviglia nova, certo riscriverebbe per lei la pagina che dettò per la Doche, e dimenti- 110 clierebbe forse quella prima eroina, la (luale egli credette non potesse avere in (iiiella parte rivali, a qualunque teatro appartenessero, qualunque fosse il lor genio. I rumeni, all' uscir dalla sala, a ogni intermez- zo, si guardavan mutoli, s' interrogavan cogli sguardi, avean gesti eloquenti che significavan l'ammirazione indefinibile. Il lor giudizio era compendiato in una parola : colossale ! Ninna artista passata potè certo, ne il potrà forse mai alcuna veniente, penetrar più a dentro nell' intenzione artistica del poeta, che fu questa : studiarsi di far disparire lu rihalta, di mettere gli spettatori in comunicazione diretta coi perso- naggi, e far sì che tutta una generazione si tro- vasse viva lassù financo ne' suoi errori. In^oii è (]ui luogo da comparazioni, forse inutili, almeno inopportune. Nessuno più e meglio di me s'in- china alla maravigliosa arte di talune attrici che precedettero la Duse, o che tìoriscon con lei; ma pur comprendendo l'eccellenza della lor arte, è giuoco forza astrarre dalle scuole varie, in cui (piell'arte è esplicata, e ad esse abituarsi.... Ili Davanti a siffatta eccellenza la niente resta conquisa, non l'orse mai l'anima. Nella Duse non è scuola, non è metodo.... Essa appare una sem- plice donna che rida, che pianga, che ami, che urli, che soffra, che muoja. E come la verità è una, così le moltitudini di tutto il mondo, qua- lunque sia la scuola del lor teatro, qualunque sia la grandezza delle loro attrici, restano prese, direi ipnotizzate, dal fàscino inatteso della donna, mescolando le lor sincere alle sue false lagrime, gioiendo veramente delle sue false gioie, vivendo in somma umanamente della sua vita artistica. A farla insuperata e insuperabile concorsero più forze. Gli ornamenti esteriori e le energie dell'intelletto sono in lei di ricchezza smisiu'ata. Non bella forse, come s'è detto, acquista nel lam- peggiar degli occhi nerissimi, nel muover della bocca bianchissima, tale espressione incantatrice, che all'occhio del guardatore può giunger fin anco alla perfezione estetica. In ninna opera meglio che in questa del Dumas si vede com'ella, con- cepita la figura che le salta davanti alla mente intera e rapida, venga con l'acume dell'analisi 112 lavorandola di cesellature sottili, incrostandola di yemme. In tutta la scena del i)rimo atto con Armando ella si palesa di subito artista d'incitabile squi- sitezza. Ho già detto (jual parte imi)ortante af- tìdi alli occhi e all'una mano nell'olt'rire al nuovo arrivato la camelia; ma bisogna anche sentire la infantilità birichina, il rimprovero amoroso ch'ella mette nelle parole: .... ììi(( quanto ne occorra a ogni fiore; lo spazio di un mattino o di una sera.... e par dica: « ina che dimande sciocche! Non ca- pite proprio nulla ! Come siete ingenuo !... » E partito Armando, dopo di aver proferito ancora una volta fervidamente e sommessamente le pa- role : Sì, vi amo, ella rimane come avvolta in un'estasi dei sensi. Gli occhi ha levati innanzi a sé, lucidi e vivi ; e li chiude e riapre con moto alterno e rapido, come ad accertarsi ch'ella non sogni: e con un lieve alzar delle spalle, e un agi- tar lento e vago delle mani e delle dita, come se in (piell'atto fosse raffigurato l'ignoto a cui move 113 incontro, il senso della vitti nuova a cui l'anima sua si dischiude, par voglia dire : « ma che è quel che accade in mei » E soprattutto: « ma che sarà quel che accadrà in me I » E il suo silenzio ha nella mutabilità della faccia significati così netti e precisi, che ogni parola vi tornerebbe superflua. Quello che della sua interpretazione colpisce nel secondo atto, è la lettura della lettera di Ar- mando, mentr'ella è in iscena col Conte di Giray. Noìt mi adatto a recitari' una parte rUìicola^ sia pare al fianco della donna che amo. Uscito apiìcna di casa vostra, vidi entrarvi il Conte di Girai/. Non Ito ne ()li anni uè l'indole di ^Saint-Gaudens ; per- donatemi di non esser milioìiario, il sol torto eh' io niahhia; e dimentichiamo entrambi di esserci cono- sciuti, e d'aver creduto un istante di amarci. Quando riceverete questa lettera, io avrò (jia (d)hando)K(to Parigi. - Armando. Dire della finezza della sua recitazione a co- testo punto, del modular vario e carezzevole della voce vanente a grado a grado con una sottile mu- 114 sicalitn (li suoni, come l'ultima arcata di violino, teiiuissima, nel notturno classico ; e delle sensa- zioni profonde propagate dallo s])irar di quei snoni nell'anima angosciosa e trepida degli ascoltatori, chi mai potrebbe? Non sempre, naturalmente, attinge la Duse nel medesimo ])unto alle supreme altezze dell'arte.... Tal volta ella vi si mostra perfetta, e tal altra vi appar negligente: tal altra ancora la negligenza sua in quel dato momento è compensata a esu- beranza dalla rivelazione di nuove bellezze. P] (]uesta, dirò, incoerenza di esecuzione, notata a ogni modo dai soli esperti di scena, ò guidata dalla disposizione d'animo dell'artista, o infiac- chita dalla dispersione delle energie intellettuali, o irritata da una special condizione del momento. V] i più esperti della scena a pnnto confermarono essere stata a lor avviso lontana assai dall'abi- tuale grandezza, quando convulsa dalla più in- tensa delle commozioni, comune a tutti i grandi conscienti delle proprie forze e de' proprj doveri, s'offerse la prima volta al giudicio del pubblico di Parigi sotto le vesti bianche di Margherita, 115 o quando più tardi si trovò a recitar la Gioconda uel Teatro Imperiale di Vienna al con8X)etto della Corte di Casa d'Austria, ma sopr' a tutto di quella grande schiera d' artisti, capitanata da un vec- chio glorioso: il Sonnenthal, e da un giovane ga- gliardo : il Kainz. E questo anche notai. Ella si mostra assai più gigante in quelle sere, in cui v' abbia a teatro mi- nor folla di gente. Sembra volere con lo sforzo supremo chiamare a se i non venuti.... E se ciò è veramente nel suo pensiero, il trionfo dell' arte non lìotrebì)' esser più compiuto: che la sera ve- niente una moltitudine di avidi si serra in calca nella platea, ne' palchi, nell'orchestra a tributar lodi ed applausi alla grande maliarda. Il febbraio del 1892 andò in iscena la prima volta al Karl-Tlieater di Vienna con la Signora dalle Camelie, non preceduta da alcun rumore, da alcun colpo di gran cassa. « La Duse ! Un' ita- liana? La Signora dalle Camèlie f a Vienna? Una sconosciuta ? » E la sala, alla recita, era pressoché deserta. Ebbene: in ninna sera più mai, alfermano ar- 116 tisti e critici, essa fu in ogni parte attrice così perfetta; e naturalmente, propagatasi in un at- timo la voce della gran meraviglia, dalla seconda recita in poi centinaia di persone doveron tor- narsene dal teatro, ov'era stato affisso dalla mat- tina il tradizionale Tutto esaurito. Mai più come a Vicliy, la sera del 24 agosto, davanti ai pochi spettatori, essendo già un mese oltre la stagione dell'acque, mai pifi, dico, ella lesse come allora la lettera di Armando, che ho qui riferita. Passò come un fremito nella sala, inondata a grado a grado da un crescendo di voci acclamanti in delirio. Ricordo il giudizio còlto ne' crocchi lungo i corridoi tra un atto e l'altro: l^ìlc est empoh/uaìitc! On ne volt pus tous Ics Jour.s un ta- Icnt comme <^a! Coni' io sono a parlar di Vichy, debbo dire di un curioso incidente occorso la ])rima sera al finir del primo atto. Il suggeritore giusta il segno con- venzionale del suo libro, die al momento oppor- tuno il ])riiii<) avviso ])el calar della tela. Da noi cotesto avviso è indispensabile per dar tempo agli 117 nomini di soffitta di discior le fnni dai rocchetti, e disporsi al lavoro, non lieve nò breve, della ca- lata della tela. A Yichy nulla di ciò. Dato il primo cenno, il sipario calò incontanente, rapidamente, troncando a mezzo la scena finale, e proprio poco innanzi che la Duse licenziasse Armando, e re- stasse poi sola a far quella scena muta incom- parabile. Il più degli ascoltanti che non capiroii l'errore, si diedero a batter le mani, e ad accla- mar l'attrice, la quale, alzato il sipario si pre- sentò novamente con la disposizion de' personaggi voluta dalla scena, e continuò ad agire serena- mente, cesellando, niellando l'azione ultima, tal che il pubblico 'sta volta, al calar della tela, ruppe in iscoppi fragorosi d'applausi, lieto di salutare a più riprese l' incantevole artista. Ella si ritrasse poi tacita nel suo camerino, e non x3roferì parole di biasimo al suggeritore inconsapevole.... Né al- lora, né in simili casi mai. Il suo spirito non vidi mai turbato ne da una inavvertenza, nò da una (lisgTazia, ne pure da una negligenza.... non aM- tiiale ; e il suo cupo silenzio accresce forse il tur- bamento e il rammarico dell'attore colpevole. Ma 118 ove sorga alcini inciampo al corso della recita uè solo per uegligeiìze abituali degli attori, o disgra- zie dagli attori volute, uia auclie per fatti estranei alla rappresentazione che suonino oltraggio alla santità dell'arte, ella, senza lasciar libero sfogo all'animo tempestato, dimessa, composta, come se quei fatti non la toccassero, si raccomanda a' com- pagni suoi di correre, di correre, di lasciar i)ause e controscene; e allora accorcia, e taglia, e salta, e inalza una insormontabile barriera di ghiaccio fra lei e il pubblico, con qiial soddisfazione di questo è facile intendere. Ciò le accadde, ad esem- pio, a Aix-Le-Bains, dove per una inconcepibile inavvedutezza dell'avveduto impresario, si trovò a recitar la Sif/uora dalle Camelie sur un palco stipato di ballerine cicalanti, che parevan aspet- tare il lor turno di esposizione, fra gli sparì dei mortaretti e de' fuochi d' artifizio nel circostante giardino. Il dramma durò (juella sera due ore a pena; e Margherita si)irò l' ultimo bacio su la bocca di Armando, accompagnato dallo sc()j)i)i() di un razzo che sembrò dissolversi in un fascio di stelle su quella faccia disfatta. lliJ Mu toni i;i Ilio a Bnkarcst. Al tiuirc del terzo atto lo cliiamate fuor della tenda non si contaron ijiù. Il pianto che le riga la gota bianca alle parole di Giorgio Duval ha tal forza comunicativa, che non si può definire. E al momento solenne del gran sacriticio, che sarà lo strappo ultimo al suo cuore già lacerato? E alloru, qìuiìuìuim' cosa essa faccia, ìa creatura caduta non si rial::erà mai ptìdì Dio le perdonerà forse, ma la società sarà iìiflessihile. In fatti, con qual diritto vuoi tu prender nel seno della fami(/lia un posto, che è dovuto alla sola virthf Tu ami! E elle importa! La huona ragione! Qualunque prova fu 2}ossa dare di codesto amore, ninno vi presterà fede.... ed è giusto. Che vieni tu a dirci d'amore e (Varvcìiiref Che son queste nuove parole f Volgiti a gu<(rdare il fango del tuo passato. Qual uomo vor- rehbe chiamarti sua moglie! Qual fanciullo sua ma- dre? Avete ragione, signore^ tutto quel che mi dite, lo dissi a me stessa jnw volte con terrore; ma coni io ero sola, non giungerò ad ascoltarmi interamente. Voi me lo ripetete.... è dunque la realtà, e io dehho 120 uhhidirc. Voi mi pdtlalc in nome di rostro Jif/lio, di vostra Jino artistico. Eiiiìasta vsola, do^jo l' uscita del vecchio Diival, ella scrive mia lettera, e cliiama frattanto Prudeuza due o tre volte, con un crescendo d'impazienza.... L'ultima volta Pru- denza le è già dietro la seggiola. Con che squi- sitezza da qnell' ultimo grido impaziente ella passa, dopo scortala, a un ah ! calmo, semplice, quasi direi senza fiato, a palesar lo stacelo di (luella povera anima.... E avanti di scrivere ad Armando, si leva, e muove incerta verso la porta d' uscita ; poi torna a dietro, e si ferma a guar- dar singhiozzante la sua casetta, ov' eran tante promesse d'amore, di pace, di poesia.... E la scena che segue con Armando"? che so- spiri, che pianti, che tormentose dissimulazioni, che j)assioni, che desiderj, che strazj !... — Alìontanarmi, al meno! Tuo padre non po- trebbe arr'war qui a oijni momento! Ma sarò fuor nel (jiardino, non lontana da, te, con Gustavo ed Er- minia: tu non avrai che da chiamarmi, e io verrò..,. Come potrei separarmi da te? Tu calmerai tuo pa- dre, s' egli è irritato, e poi compiremo il nostro di- 122 scffìio: vero* Vivremo uisUmc vìitrnmìn, cri ((minm come prima, e saremo felici come lo siam da Ire mesi. Perchè Ut sei felice, non è egli vero? Tu ìioìi hai ìiulla il<( rimproverarmi f... Dimmelo: ciò mi farà hene. Ma se t'avessi <ì((to aìruìi dolore, jtrrdoixoiii.... non fu per mia colpa, dacché io t'amo sovra ogni cosa al mondo. E anche tu, anche tìi m'ami, non e vero? E, qualunque prova d'amore io t'avessi data, tu non m' avresti né disprezzata, ne maledetta.... — Ma perchè coteste lag rime f — Avevo bisogno di piangere un po' ; ora, vedi? son calma. Vo da Erminia e Gustavo in giardino.... Io sono là, sempre con te, pronta sempre a r<(ggiu- gnerti, amandoti sempre. Vedi! iSorrido: addio a presto, per sempre! — Ohe poema! Che poema! Che poema! L'e]e.i»ìa supiema dell'amore e del dolore, can- tata dalla più elegiaca anima d'artista che io potessi mai concepire. La faccia bianca, estenuata di Margherita al suo presentarsi nel quarto atto al hi accio di Varville, il mover lento, faticoso della jiersona, 123 come se i snoi i)ie(li non fosser guidati dalla sua volontà, uuì da una forza occulta, interiore; lo sguardo immoto e vago a nn tempo.... dicou su- bito lo sfasciarsi imminente di quel povero corpo emaciato dall'etica febbre, l'imminente vanire di quel povero spirito flagellato dall'angoscia. Tutta la scena con Armando è appena sosi^i- rata;... non mai un metallo di voce..., .... io ri (jiuro clic iìi nn mese ho tanto sofferto, che ho a pena la forza di dirlo.... Oh! Io sento il male che s' accresce e m' ahhrucia. In nome del nostro amore passato, in nome di ciò eh' io debbo ancora soffrire, Armando, in nome di vostra madre e di vostra sorella, fuf/gite, tornate da rostro padre, e dimenticate Jìn anche il mio nome, se potete. E bisogna vedere all' ira gelosa dell' amato con che moto supplice delle mani ella risponde, con che occhiate languide, quiete, benigne, da presso la porta, con la paura tremenda e vigile di es- sere sorpresa da Yarville, non per lei, ma per lui, per Armando che le i^otrebb' essere ucciso.... 124 E al s()[>ra\'veuirc dei convitati, all'inveire basso e incosciente di lui, quegli Arma mio!, ])as- sati ornai nella storia dell'arte, come una delle inii belle trovate del teatro moderno, intonati con gli accenti più varj della sorpresa, dello stu- pore, della supplicazione, della disperazione!... — Quella piccola Duse! — disse Verdi una volta — se l' avessi intesa prima di scrivere la Trivv'mta, che bel finale avrei forse messo assieme con quel crescendo di Armando, ch'ell'lia tro- vato, lasciando semplicemente traboccar l'anima sua! — 11 (plinto atto consta di un' unica scena-mono- logo, la morte di Marglit'r'ita, interrotta a quando a quando dalle poche parole del Dottore, di Pru- denza, di Nannina, Gastone, Armando, e priva di tutto quel corredo di colpi di tosse, di guar- date allo specchio, di svenimenti plastici, ado- l^erati un tempo, e anc' oggi, tal volta, a otte- ner (piella siffatta teatralità artifiziosa, di cui nella parte che tratta della. Gìonntda di Gabriele D'Annunzio. Eleonora Duse è una donna che muore.... Una donna, logorata dal male, a cui 127 rimane ancora l'alito di vita necessario a reg- gerla in piedi, e a farla discorrere. All'alzarsi della tela, essa è in letto, con tutto il corpo ran- nicchiato sotto le lenzuola.... non v' ha che la testa di scoperto.... La macchia nera de' capelli scomposti che le incornician la fronte e le tem- l)ie, il viso cereo, debolmente illuminato da due grandi occhi neri e smorti, le braccia lunghe e scarne, e le mani diafane atHlate, che ogni tanto escon di sotto a le coltri, e vanno alla faccia, alla testa, al petto, inquiete, secondate da moti del capo ancor più inquieti e da grossi e lunghi sospiri, ne' quali è l'anima, il picciol resto della grande anima che se ne va, metton subito nel- l'ascoltatore un senso di tristezza ineffabile. Dopo una pausa ella s' alza, e si trascina a stento, ap- poggiandosi ai mobili che incontra nel cammino breve, e siede estenuata, e si rialza, e con levar fastidioso e frequente delle spalle riadatta le vesti che le cascan di dosso. Oh ! con che tristezza ella ricorre al primo giorno dell'anno passato;... in cui tutto era gioja, riso, festa! 128 .... ììoì eravamo a tavola, cantavamo, e davamo all' anno ìtasccììtc il mcdcshìio sorriso che avevam finito allora di dare ali anno morto. Ov'è il tmipo, mio buon dottore^ in cui si rideva <(neoraf... E con che gajezza triste ella apre gl'involti, e ne toglie ed esamina i regali!... Un anello col hiiflietlo di Saint-Gaudens. Cuore lììiono! Un hraccialetto col hiijUetto del Conte di Criray.... da Londra. Qual (/rido egli mettereMe ve- dendomi in questo stato!... E dei dolci.... Oh! Gli nomini non son poi sì smemorati coni io credeva!... Un lieve particolare: letta appena la lettera di Erminia, che le dà l'annunzio del sno matrimo- nio alla Maddalena, la Duse scrive un biglietto, da esserle consegnato dopo la cerimonia, che affida al Dottore. Bene : ogni sera ella scrive sul foglietto una o più parole nuove: a Bukarest, per esempio, ella scrisse Au revoir ; a Ginevra in lettere cubitali Ave; altra volta Tris ìùen ; Anrevoir; altra volta ancora, e il pifi spesso, 129 de' segui iuiutelligibili, ma fìriiiati sempre dal nome di Marijhtrita. Eimasta sola si lascia andar novamente sul letto, poi ne trae di sotto al cuscino la lettera dolcissima di Giorgio Duval, e la spiega, e l' ac- carezza ; e, leggendola, i suoi ocelli lian talvolta bagliori dell' antica luce. A questo punto la Duse assurge a una grandezza nova, inattesa con una magnifica volata, che, troppo colorita, potrebbe diventare artifìcio grottesco. A mezzo della let- tura, essa leva la faccia, leva gii occhi luminosi e li ritiene immoti ; e in quel raccoglimento con- tinua la lettera a memoria, terminandola con uno smorzamento musicale della voce, e un rapi- mento soave dei sensi, e con l' abbandono della testa sul guanciale, prostrata dalla soverchia gioja. E quando dice alla finestra: .... GÌia giubilo ntlk famiglie! Old II bel fan- ciìillo die ride, clis ride, e saltella co' suol giocat- toli! Io vorrei hacker quel fanciullo !... 130 Che presentiuiento della morte vicina, e clic rimpianto della vita nella intouazion dolorosa!... E alla venuta di Armando !... Essa ascolta con la solita aria di sfiaccolauiento le prime interro- gazioni di l!^aiinetta; poscia, all'annunzio di una gioja troppo viva, capisce l' allusione ad Ar- mando, ne presente la venuta, lo vede.... e si accende tutta, e la sua voce e la sua gajezza hanno, come la lampa moriente, un ultimo guizzo di vita gagliarda.... Armando !.., Tu hai nduto Armando! Armando rlcne a rcdcrnti !... E ì^annetta accenna sorridente e pietosa da- vanti a se, e Margherita si volge, e con moto rapidissimo e inconsapevole si lascia andar come corpo morto sul petto di lui, che le è apparso come una visione, cingendolo al collo, muta ed immobile, con le sue braccia esili. E riavutasi poi da quell'attimo di suprema dolcezza, ha un nuovo e più vivido guizzo; e sorride, e cinguetta, e nell'esaltazione fuggevole, vede ancora la sua casetta di campagna, il suo amore, la sua teli- 131 cita.... e vuol ginguerla; e si dispone ad uscire.... ma le iiltiiiie forze raccolte sono vanite:... e quella effimera gajezza infantile è seguita da un silen- zio breve, terribile. La morte ! Ella dice con un rantolo, tendendo l'indice innanzi a se, quasi vedesse l'avanzar della Diva severa.... La morte! E la morte l'ha già toccata e atterrata. Non più pensieri, non più parole.... Appena qualche Ar- mando emesso con un grande sospiro, come se l'ani- ma sua si dissolvesse in frantumi, e ogni sospiro fosse un frantume che se ne va !... Oh! Come pos- s' io descrivere il cader lento della mano irrigidita dal collo di Armando, e l' atteggiamento soave e straziante del volto bianco sul bianco guanciale ! Ma voi, voi, nelV interno vostro, che eosa provate mentre il pnhhlico, tra cu riono e pietoso, sta a vederci morire, notaìido of/ni vostro più piccolo movimento f Ti occupate voi di questo pubblico, come si crede die facessero con jnh disperata coscienza d'arte quei terribili artisti che erano i (/ladiatori ((ntichi, o vi lasciate andare all' istinto, o v'occupate troppo della 132 teciiicn inr polcrv (ircr /'((ii'niio (uì a/fni co.sy^ ." In altri tenulìii: questa simula::ione della morte ri- petuta (la roi taììte mite sulle scene, alle prore e dinanzi al pubhlieo. Ita essa acquistata col tempo la calma dell' alritudine, o permane in voi inesauri- 1)ilmeìite viro il se)tso traijieo della situazionef Fine/ere di morire! Avvicinameìito volontario e fittizio fino a toccare con le mani e con la fronte la (/elida jK( rete che ci separa dall' eterno, dall' invi- sibile, dall' ir reparahile: contraffazione funelìre delle ultime angosce e delle ultime smanie nelle lotte ove si soccombe per senìpre: cer- sonaggio ; e quello scheletro di commedia infan- tile, che se racchiude una gran jjarte di prima donna, racchiude anche per la verità e per l' arte un insieme di tipi non mai veduti, non mai sentiti, nò in Germania, uè altrove, essa Magda compresa, nella recitazion della Duse si copre di carne, il san- gue le Unisce nelle vene gagliardo, e senza badar più né alla infantilità del soggetto, né alla invero- simiglianza dei personaggi, ci sentiamo attratti a piangere con Magda alla descrizione i^atetica del bimbo che ha fame, a levarci con lei contro a l'uomo che vorrel)l)e con freddo calcolo d'ini- quo mercato strapparlo alle sue braccia, ridere con lei della canzonatura sottile alla schiera delle 142 (fran dame del picciol sito, saccenti, petulanti, venute lì a bella posta per veder da vicino la bestia rara, e atterrarla con lo scherno a la lor volta. — Ha V intensione di riuiaìurc qui per qualche tempo f M. Non so darrero, signora, o.... eccellenza ? Noi altre.... siamo neeelli di passaggio. Non pos- siauto mai disporre dell'avvenire. — 3Ia bisogna pare ((vere una c((sa, ìut nido. M. Perchè? Bisogna avere nn mestiere. Mi pare che basti . — Eh! Secondo il modo di cedere, mia cara Magda. — Oh Dio mio, queste idee non entrano nella no- stra sfera sociale, signori na . Di tempo in tempo, sì, viene aneJie nel nostro paese qualche donna per d((re uìia conferenza, un conctrto, ma le buone famiglie se ni' tengono lontane. M. Ah! Capisco! Le buone famiglie non sof- frono la fame. — Ma Lei arra almcìio un domicìlio fisso f M. Si. Un posto dove poter andare a dormirei Oh! 143 Sicuro. Ho Uìia rilla ,st(J hajo dì Como, ed un'altra vicmo a, NayoU. — Finora non ce l'avevi mai detto. M. Fosso servirmene così di rado^ cara mamma ! — L'arte dev'essere un'occupazione molto faticosa non è vero? M. Secondo il modo di esercitarla, SUinora. — Anclie le mie figlie i)rendono delle lezioni di canto, e questo le affatica sempre molto. M. Oh! Me ne einceesce infinitamente. — Si sa die lo fanno solo per divertirsi. M. Ah! Cantano e si affaticano! Si affati- cano E si diveetono !... (piano alla si- gnora Selke). Manda via queste donne, se no divento una villana. — Dica, è scritturata 2)er qualche teatro, mia cara sif/norina f M. Qualclie volta, mia caExì Signoea. — Allora presentemente è sans engagement ? M. (fra i denti) Gesìi Maria! (forte) >^S'/, presen- temente faccio la vagabonda. — E sul teatro, dica, non si trovano mica molte figlie di ì) nona famigliai 144 M. No, SUjìwra, perche queste per l'arte^ (jenerul- mente, sono tiioppo stupide! Di questa breve scena, vero capolavoro d'ironìa nel magistero artistico della Duse, che ha il suo confronto nella settima del secondo atto della iSeeonda Moglie di Pinero, ho messo qni le pa- role che suscitaron dovunque irrefrenabili scoppi di riso. S' è già detto e ripetuto a sazietà qual forza ella abbia nella mutabilità espressiva della faccia; ma non è possibile, senza vederla, in- tender qui la eloquenza del suo sguardo e delle sue labbra. « Presentemeiite faccio la raàydhoitda ! » È un nonnulla; ma quella prima vocale rad- doppiata, quella j^rima sillaba accentata, strasci- cata, e tutte l'altre poi sorvolate quasi, come s'ella proferisse una parola bisdrucciola, armo- nizzante comicamente col moto rapido della testa e il suono chioccio della voce, api)aj()n di un ef- fetto ii'resistibile ; e son codesti nonnulla, che ri- velan la profondità della sua niente di artista, piegantesi morbida e rimessa a trar dal nulla 145 a|>pareute con la froute corrugata nell'acume dell' investigazione tutte le energie interiori, e che la fanno star sopra a ogni sua consorella. Ricordo la prima volta che intesi la Duse, a Londra, in Casa Paterna. Ricordo sopr' a tutto la ijiccola scena con Maria al principio del terzo atto, quando con la bontà e la sincerità ne- gli occhi e nella voce, la induce a palesar l'amor suo. — Questo qui è tutto il mio avvenire. M. Come si chiama questo avvenire f — Max; nostro cugino. M. Maxf Maxf Max? Questo nome proferito a più riprese e in varj toni, a contraffar comicamente la intonazion fidu- ciosa della sorella, come se oltre quel nome non fosser più desideri, uè speranze, ne vita, è una tine e gentile trovata della Duse. E una geniale trovata è la chiusa dello stesso atto, quando al fiero: Ho da iKirlar con te, Maeimiti, .sin,i>liiozzati ! quel Ah! non fossi mai renata qui! Alt! Mi voUtc ijià scac- ciare f L'ho fatto mo ri È^e, potrò almeno seppellirlo ! ... appajoii nell'arte alta della Duse di angoscia sì intensa e sincera, che ci sentiam costretti a me- scolar le nostre alle sue lagrime. Alla recita di IJukarest, il 13 di ottobre, non assisteva grandissima folla. Si prevedeva già che la stagione sarebbe stata infelice.... La seconda sera furon subito diminuiti i prezzi, ma in vano. Un cumulo di sciagure era venuto a tiu'bar F or- dine delle cose. La raccolta del grano, da cui [)iù specialmente traggon le famiglie di liukarest il benessere, l'agiatezza, l'oi)ulenza, fu in (jnel- l' annata scarsissima: e ciò era già causa baste- vole, perchè molti de' frequentatori del teatro rimanessero intanati nelle lor case. Le rapi)re- sentazioni della Duse non son certo di (pielle a cui possa darsi il lusso di assistere in posti con- venienti ogni misero mortale; e mi vien sempre a mente, a tal proposito, il seguente scherzo itiilo-tedesco, non divulgato tra noi: 149 POESIA FABBRICATA DI SIGNOR NUNNINO A BERLINO Mia hello Lare Duse'ii Favorita ron die Muscn, Dir vedere^ das war'sclum, Ma, per Bacco, 's wird nich jeh'n, lek, aìs padre, mit der madre Nehst Zwei fa/lia's, det sin quadre, Und's Billetto sum Parqnetto Costa deci Mario netto. Wo man ja ron dem. Parlando Absoluto nischt rerstando, Det h, da Monete raro, Mir ein Bisken troppo caro. S. Ib. I prezzi di Bnkarest eraii questi: palchi di proscenio, lire 200 e 150; palchi di prima fila, lire 100; di seconda fila, lire (50; di terza fila (galleria), lire 20. Poltrone di platea, lire oO, 20 e 15. Sedie numerate di galleria, lire 5; gaiieiia non numerata, lire 2. Per della gente che non aveva raccolto grano sufficiente, non c'era, lìare 150 a me, del buon iiiercuto. Aggiungete ora la morte del Direttor del Teatro Nazionale ove recitavam noi^ la morte del Principe Gliika, un alto perso- naggio del luogo, la malattia del Principino, che teneva in trepidazione tutto il paese, e compren- derete come la non breve stagione dovesse es- sere, quale fu in fatti, relativamente disastrosa. La Duse ne era seriamente tediata: non tanto per la ragion finanziaria, quanto per l'incalzar delle cose tristi. TI suo albergo, il Coutinentaìe, era di fr(mte al teatro.... Non poteva afifjicciarsi alla finestra, senza che la funebre bandiera le sventolasse dinanzi agii occhi!... Tutto (piel che a Bukarest sarebbe apparso bello, gajo, pittore- sco, interessante, in tempi di patriarcale agia- tezza, assumeva a' nostri occhi, in quei giorni, un aspetto doloroso o grottesco.... Quegli uomini in calzoni bianchi di tela, stretti alla gamba, e in sottanino bianco a fitte pieghe, uscente da una delle nostre giacche paesane, con in testa un de' nostri cappellucci a cencio; quelle stradic- ciuole del ghetto, con festoni e insegne multi- colori, con mercanzie di ogni specie, costumi del 151 paese, borracce di legno istoriate, sottane, pan- ciotti, corpetti a larghi ricami d'oro e d'argento, mescolati con vesti usate de' nostri paesi ; pellicce d' ogni qualità ammonticchiate sui banchi este- riori; quelle grida, quei nojosi inviti, quegli sghignazzamenti, quelle sudicerìe inattese ! E, più avanti, quel mercato spaventoso, tutto pieno di carni salate, orribili, accatastate su banchi unti e bisunti, di blocchi enormi di sale, di cucine posticce, addossate alle latrine, di odori nauseabondi ; quegli stridolini femminei degli eunuchi fiaccherai; i racconti di certe case, ove si sposai! oggi per divorziar domani, ove il lusso è fatto a forza di debiti e peggio, ove l'onore è falso come il lusso ; e di certi alberghi, ove l^enetra la corruzione più corrotta, vero mondo dopo il ijeccato e prima della redenzione, gene- ravano una specie di stringimento al cuore e di ripugnanza, che non valser certo a dileguare né alcuni edilìzi sontuosi come quello del Tribunale o quel della nuova Posta, sproporzionato forse all'importanza della città, né i giardini ubertosi dai viali ombreggiati di alberi giganteschi, di- 152 segiiantisi ghiribizzosamente sur un bellissimo fondo turchino, né la passeggiata della CliauHsé^i Clmelejf, magnifica, interminabile, dove la ric- chezza degli equipaggi (tale eh' io non ne vidi altrettanta ne' pubblici passeggi delle maggiori metropoli), appare più specialmente negU attacchi russi, ammirandi per le pariglie di stalloni mae- stosi dalle criniere ondanti, dalle code prolisse, e pei cocchieri non men maestosi, avvihippati nel lor severo costume nazionale; ne i tramonti di fuoco, stupefacenti. Nessuna città del mondo io credo presenti oggi come Bukarest un così vivo contrasto di selvaggio e di raffinato, di orien- tale e di francese, di ricco e di povero, di sciatto e di elegante, di grandioso e di meschino ! Quel giorno vi era stato il trasi)orto funebre del Principe Ghika. Aprivano il corteo due uomini a cavallo in costume con gran lampade di vetro, a' quali te- nevan dietro: uno con alzata di cristallo ripiena di fiori, e tre portanti in teglie di rame enormi focacce: indi il clero chiuso in carrozzoni vecchi, sganasciati, indi il feretro in una magnifica car- 153 rozza a grandi cristalli tirata da sei superbi ca- valli, e alla tìiie ima lunga sfilata di equipaggi.... La curiositiì dipinta in più volti, la costerna- zione in altri pochi, il silenzio lugubre, sol rotto og^i tanto da un sonar di campane, più lugubre ancora, occupava sinistramente l' animo della Duse, che andava ripetendo a più riprese, e sem- pre indarno: Domani, signori^ ultima recita! E non- dimeno quella sera ella si trovò in voglia come a' tempi migliori, e come a' tempi migliori rap- presentò la Casa Paterna, a quel pubblico for- tunato, il quale, specie dopo il terzo atto, parve delirar di entusiasmo. Le due sere vegnenti non si recitò, e si provò, per modo di dire, la Gioconda, all'albergo della Signora^ che fu, la seconda sera specialmente, al- legTissima. Sbollito quel primo senso di repu- gnanza, distesi pianamente i nervi contratti, si venne anche a misurar con serenità il valor vero della giovane capitale, e a veder chiaro che una volta uscitone tutto il i)utridume di un popolo selvaggio, ed entratavi tutta la civiltà di Fran- 154 citi, ai gusti della quale più particolarmente vuol atteggiarsi, Bukarest gareggerebbe di grandezza e di bellezza con le maggiori e migliori capitali di Europa. E ci s'andarono allora offerendo dinanzi al pen- siero le cose migliori ; e se, nel turbamento, le bellezze non ebbero forza di attenuar le ))rut- ture sovercbianti, quella sera, con la serenità dello spirito, si decretò che le brutture non sarebber riu- scite ad attenuar le bellezze di gran lunga mag- giori. E si descrisse l'Ateneo nel parco dell' Epi- scopia composto al pian terreno di un magniti co salone a grandi colonne, destinato a museo, già adorno di alcune statue, e al primo piano di un Anfiteatro maraviglioso a stucchi e dorature e mosaici, destinato a concerti e conferenze, di ele- ganza e ricchezza singolari, con cinfiujintadue palchi e seicento posti di platea ; si parlò dello svi- luppo del commercio, della principal via della Vit- toria, di quella chiassosa de' Lipscani, de' grandi viali dell'Accademia ed Elisabetta; della chiesa di Ootroceni, del benefico asilo di Elena Doamna; chi accennava a un costume di donna de' dintorni, 155 mezzo greco, mezzo russo, con sottana bianca a fittissime pieghe, e un' altra sotto a ricami di linezza rara ; chi a un matrimonio, e all' ufficio religioso, e alla veste ricchissima e alla mitria ingemmata del maggior prete, e al costume cu- rioso di un giro attorno all'altare, del prete, degli sposi e de'testimouj, tenuti l'un Taltro per mano; chi magnificava le arie e le canzoni de' lauta ri, piene di poesia melanconica, sonate nelle trat- torie col violino e l' arpa o la cobza da ragazzetti non più che dodicenni, agilissimi ; chi motteg- giava sulla bizzarria di talune parole, somiglianti a parole nostre ma con ben altro senso. Ma tutto ciò non poteva servire, dirò così, alla Duse, di- sdegnando ella di uscir nelle vie a oflrirsi in pascolo alla curiosità della gente. Quel che le mancava, sopr' a tutto, era una bi- blioteca o una pinacoteca, o un qualche negozio di arte antica e moderna, in cui rintanarsi. A volte, in sul mattino, chiedeva un pacifico asilo presso il ridente e separato lago del giardino Cis- migiu, ricco di verde, che sorge nel mezzo della città; e quivi anche, ricordo, die convegno una 156 volta a' suoi compagni per coiiiiìoi- certe faccende (li teatro: e la veggo ancora, sottile nella veste nera attillata, levarsi e muoverci incontro lentis- simamente come una visione ; e la odo rider con giocondità inusata, e squittir d'arte, e inanimire i timidi, e ammonire i loquaci, ed ammansare 1 contrari- La sera si dovea recitar La Mof/lh- di Claudio. Al ritorno dal giardino, vedutomi l'impresario Schiirmann, mi mosse incontro per darmi 1' annunzio che vi sarebbe stato lui ma- gnifico teatro.... — Un maguilìco teatro, — scla- mai — la Duse di buon umore, e La Mof/Jic di Claudio."... Siamo in porto!... — E la mia escla- mazione era ben giustificata dal successo trion- fale che avea coronato dovnu(|ue la raiipresen- tazione di questo lavoro, in cui la Duse è, (juaiido vofflia, m ara V igl iosa. Cesarina Eiiper, l'essere simbolico, il quale non già rappresenta una moglie o una donna, ma la Bestia vituperosa della terra di Nod, la femmina di Caino, spergiura con Dio e con gli uomini, che non agisce per una causa e un Une comuni, ma per la soddisfazione personale e immediata de' suoi appetiti;... adultera, infanticida, prosti- tuta, immonda, che mina la società, dissolve la 158 laiìiiiilia, insozza l' amore, diinenibra la patria, prostra 1' uomo, disonora la donna di cui prende le forme apparenti, e uccide coloro che non la uccidono ; Cesarina Euper, nella ribellione co- darda, che dovrà ceder fatalmente, soggiogata da un domatore straniero; che a ottenere il fine tra- gico, dovrà giocar perlìdamente la commedia del- l' amore e della passione, trascinando al male un innocente ch'essa ravvolge, avviluppa, costringe in un cerchio di hisinghe; Cesarina Ruper, dico, a essere sul teatro non pur compatita, ma sola- mente patita, ha d'uopo della incarnazion di mia artista che abbia intelletto ed anima oltre i con- lini del comune. Nonostante la difesa magnifica, scintillante dell' autore dalle critiche di Cuvillier- Fleury nei Déhats^ La Mofilie dì Claudio ebbe una sorte miserissima. Claudio, Cantagnac, Daniele, Antonino, Cesarina, Rebecca, i cannoni, i milioni, la chiesa, la i)atria, la bibbia parver tutta roba assai i)iù pesa della cassa forte, in cui custodiva il gran genio meccanico le sue scoperte. Non af- ferrata la ragione occulta dell'opera, non resta- ron più che degli esseri come noi, che non di- 159 cevau, ne aen- dente dalle sue labbra, non valse ad attenuar l'impressione sinistra del lavoro, che fu d'immo- ralità brutale, di misticismo nojoso, di sopranna- turale assurdo. Ci voleva Eleonora Duse, lottatrice formidabile, a far risorgere e accettare, mercè la sua interpre- tazione, il personaggio di Cesarina. La prova di rivolta a Cesare Eossi con la Principessa di Bag- dad, coronata dal più clamoroso de' successi, im- baldanzì la giovane anima, che in uno sboccio improvviso, assetata di lotte e di vittorie, andò in traccia di opere ove l'arte imperasse, e più che l'arte la difficoltà; e trovò La Moglie di Clau- dio^ che lesse e interpretò nel tempo medesimo, 160 e, con l'intima sicurezza ili nuove energie, gettò alla lolla, difettosa allora qua e là nell'opera di lima, ma esuberante, nella concezion generale, di quel sacro fuoco, tutto italico, che trascina.... Da noi, meno ancor clie a Parigi, si andò a dentro nel pensiero dell'autore: meno ancor che a Pa- rigi si capì l' ammonizione di un prossimo dis- solvimento della Francia, si odorò nell'opera di OantagTiac l'invasione germanica.... ma dileguata la ragion politica, ne restava una psicologica ricca di nuovo e grande interesse.... Eleonora Duse as- sorbì, travolse tutto con so.... Cesarina apparve su la scena una semplice donna ; eccezionale forse, non più certo paradossale; e fors'anco men dispregevole di quel che fosse davvero, allato di quell'uomo buono, buono, molto buono; ma col suo genio, co' suoi cannoni, con la sua patria, con la sua bibbia, col suo Dio, peso al(iuanto e nojoso.... xVll' esuberanza della sacra fiamma s'an- dò a grado a grado congiungendo il la\ orìo fati- coso e paziente della lima, sì che oggi cotesta figura, dapprima rigettata, poi discussa, compa- tita e accettata, è divenuta nell'opera profonda 161 dell'artista la creazione gigantesca di un nomo di genio. Ahimè ! La rappresentazione di Bukaiest, il 16 di ottobre, non fu delle fortunate. La Duse codesta sera si trovò in tale stato di sflaccolamento, che le parve per un istante di aver perduto tutte le energie intellettuali e sen- suali. 8i strascicava su la scena a gran fatica con le braccia spenzolanti e dondolanti trascurata- mente, come se le mancasse la forza di levarle. L'occhio, che nell'animazione del giuoco scenico è, in una immediata e continua mutabilità, di eloquenza prodigiosa, s'andava or qua or là fer- mando vagamente, inconsapevolmente. Di tutti i personaggi del dramma sembrò tal volta che Cesarina fosse il più mite. Nel secondo atto, e codesta sera per l' appunto il teatro, come s' è detto, era stipato di gente attentissima e vogliosa di acclamare alla grande artista, ella tagliò la scena colla cameriera, mentre serve il caffè, che solitamente apparve un poema di miniatura. Le scene con Antonino, in cui più specialmente si rivela artista formidabile, furon più dette che 162 fatte.... Anche la scena d' insieme del secondo atto, nella qnale Ivebecca discorre a Olandio, e Cesarina dovrebbe cantare al cembalo, e la qnale parv^e a Gonnod di un ettetto sinfonico, passò quasi inavvertita. E niun sa dire il mio ramma- rico davanti alla inerzia del ])nbl)lico ! Avrei voluto gridar forte: « Ma non è così ch'ella in- terpreta la Moglie di Claudio!... È forse ma- lata!... Se l'aveste sentita come l'ho sentita iof!... » E mi balzava nell'attimo sigli occhi del pensiero la Cesarina consueta!... La vedevo entrar miste- riosa, cupa, con la taccia pallida, incorniciata da una gran sciar])a nera, con gli occhi felini, torvi, con le labbra contratte, con la persona convulsa, favellar cinicamente con Edmea: la vedevo mezzo seduta sul lato sporgente del cembalo chiuso, con un piede spenzolante e dondolante, volgersi di soppiatto ad Antonino dritto dietro al cembalo, rapito, dargli un mazzolino di viole da odorare, slìorargliene il volto, accarezzarglielo d'un tal fare studiato di trascuratezza, con la mano mez- zana, attirandolo, avvilup]ìandolo, tenendolo con occhiate profonde, piene di arcane promesse!... 165 La vedevo poi, nel secondo atto, con le labbra semiaperte e i denti serrati, con gii occhi inchio- dati su quelli di Claudio, scusarsi, e impetrar grazia, e sfidarlo, e minacciarlo !... La sentivo ruggir come tigre ferita: .... era hello, era nobile, era grande!... Sì!... Per- chè ogni altro al rostro posto mi avrebbe scacciata come lina donna perduta.... e bene: no ! non era così die bisognava trattarmi!... No, no, no!... Bisognava insulta/rmi, bisognava schiacGiarmi, e perdonarmi da uomo! Io sono della terra, io, non altro die della terra. Io non com- prendo nulla dei grandi sentimenti e dei perdoni a metà.... Poi, con la voce piangevole, tutta carezze e fàscini, la senti\'o implorar falsamente, avvitic- chiata alle ginocchia di lui: Io amo voi, non voglio die voi. Non voglio j;i» vivere, non posso più vivere senza di voi. Yoi siete 166 il j>i« forte: non ne ahusatc. Se non lio ì(ìi''aììima, datemene ima voi; o meglio: dividete con me la vo- stra.... Io dimando che noi non viviam più che l' uno per l'altro, e che voi siate tutto mio, coni' io sarò tutta vostra.... Oh! Se tu fossi stato dehole, e io forte, come ti avrei perdonato ! Se tu avessi fatto qualche cosa di male, se tu avessi alcun rimorso, qual felicità per me farteli dimenticare! Ma no! Tu sei il più onesto uomo della terra.... che disperazione!... E (iiiando ogni tentativo era riuscito vano, quando Claudio si era palesato nell'ultima pa- rola inflessibile come nella prima, com'ella si rialzava solenne, maestosa, mostrando a nudo l'anima fredda, cinica, perversa! E la sentivo sclamare : Bisogna che io ami o che io odii! L'amore, no? Sia! L'odio allora! Ah!... Cristiano seìiza pietà nella tua coscienza e nel tuo diritto, io ti trascinerò meco alla hestemmia e (dia maUdizione. E non sa- 167 rem noi le sole l'ittime. Ve n'hanno altri fra quelli elle in ami, che periran con noi.... Tanto pe(/(jio per te, tanto peggio per loro! E la vedevo ascoltar la concliisioue miuacciosa di Claudio, senza togliergli mai di dosso l'occhio provocatore : e, uscitegli a peua di bocca l' ul- time parole: Com'è vero che Dio esiste, io ti uccido, la vedevo teudere il braccio e la mauo col palmo vòlto al suolo per acquistar solennitii al giura- mento, e l'udivo proferir quell'ultimo hene! con tale accento sicuro e imperturbato, da mettermi nell'anima fremiti di spavento. E tutta la scena seguente con Antonino? Come gli strisciava quelle braccia 'gnude sul collo con moto d'imminente voluttà!!... C. Neanche tu dunque hai paura di morirei — No. C. E perchè morire l' un dopo l'altro ì Perchè non insieme ì — tSe volete. C. Tìi mi ami dunque davvero f 168 — Come un pazzo. 0. Tu non rhninamurui nulla in >ìh la terra f — Son solo al mondo. C. T» sai che la mortv r il ìndia? — Spero sia il riposo. 0. Tieni. E la vchIcvo allora piccarsi verso di lui, e nii- ticipargii la felicità con la offerta della guancia, su la quale egli deponeva, avanti di usciic, un amoroso bacio! In tutta la prima parte della scena ultima con Antonino, la Duse era un miracolo di misura; maravigliosa di etìicacia in quel mistero, ond'eian avvolte le lor parole. Ma com'ella s'era impadro- nita delle carte, e Antonino s' accingeva a impe- dire il sacrilegio, oh con che gliigno, con che tenacità, con die ferocia sclamava: Guardami dunque bene in f avvia ! (Jual di noi due è 2)iì( dispreossa mettersi in quel cammino, e tornar quando si voglia indietro! T'inganni. Bisogna an- dar sino al termine. La passione, la colpa, il vizio, il delitto !... Eccone le tappe! E come ho hisogno di te per salvarmi, ti prendo. Ti do il corpo, mi dai l'anima.... l'uno vai hene l'altra! Partiamo! E la morte? Non si correva una volta a teatro l^er quel gran momento! Per veder la Duse vol- gersi d'un tratto a i^ena avuto il colpo, levar in alto le braccia, lasciar cadere le carte involate, e con la persona quasi rigida lasciarsi andar boc- coni sul pavimento ! E codesta sera, nulla !... Nulla, tranne qualche i)iccola cosa nuova e buona, balzata fuori inconsciamente dallo svolgersi della gran scena col marito. Nemmeno, i dieci minuti prima della recita, ella si recò su la scena a in- vigilarne e guidarne l'allestimento, com'è suo 170 costume! L' allestiineiito scenico! Oli ! s'elhi tra- scura ciò eli' è per lei elemento de' primi nella rappresentazione di un'opera di teatro, e da lei sempre condotto e ordinato con sollecitudine amo- rosa, dee ben esser prostrata di forze ! Nella Mo- (jlk (li Claudio appunto, al Teatro Niccolini di Firenze, ella si rammaricava una sera di certa statuetta di gesso, ratiìgurante una Venere o una Baccante, o non so più che imagine di donna mitologica ignuda, collocata come ornamento su la cassa forte, in fondo alla scena. Bisognava sentirla : « jSTo, no, no ! Non può stare !... Nella Casa di Claudio !... Claudio ! Un grande meccanico, un uomo rigido, rude, austero!... Ci vuole qualcosa di solido come lui!... Quella frivolezza non può stare !... Del bronzo ! Del bronzo ! Un busto di bronzo ! Socrate ! Non e' è un Socrate ? Mi tro- vino un busto! Non ce l' hanno? Non ce l'hanno? Enftn! Parche portin via ({uella! Quella no, veli! Quella no ! La portino via !... Così !... Meglio nulla ! Una Venere danzante nella casa di un puritano come Claudio!... ^Nla che mi fanno!...» 171 Poi, come fu recato il richiesto busto di falso bronzo : « Ah! Bravi! Questo sì! Questo sì ! Così! Tutto dev'essere iu armonia! Tutto! Così! Bravi! Un filosofo.... Uno storico.... Un oratore.... Un guer- riero.... Così ! Andiamo ! Su !... Facciamo presto !... » Un'altra sera, allo stesso teatro, si rappresen- tava Hedda Gahler. Prima del secondo atto, la Duse, gittato lungi da sé un piccolo album, una specie di libercolo, da su la tavola, si diede a misurar la scena a gran j)assi, concitata, impa- ziente, fastidita.... Diceva : « iJiToii questo, non questo !... Un album ! Un album grande.... con vedute, fotografie; devono esser de' ricordi di viaggio ! Ma non lo sanno ì Ma non lo sanno ?... O che è la prima volta ?... » Poi, vòlta a me: « Signor Rasi, venga qua, Lei.... bravo ! Mi aiuti ! Guardi che cosa mi danno ! Un album di vedute! Un album grande!... Mi capisce!? Per la scena alla tavola con Giorgio Loevborg.... Ha qualcosa, Lei ? Veda, veda di aiutarmi ! » 172 E la tranquillai subito, e corsi a casa in car- rozza, e in capo a dieci minuti fui di ritorno con un grande album di fotografie del Cairo. « Questo, sì !... Questo !... Ecco !... Grazie ! Mi ha salvata! Grazie! Questo ci voleva! Kou ve- dono !.. » E ricordo ancora che, finito l'atto (aveva re- citato quella scena di simulazione con una ve- rità e una finezza meravigliose), e ringraziatomi di nuovo, si accomiatò, dicendo: « Il suo album mi ha tanto distratta, sa ! A riveder tutti quei luoghi, che ho visitati e di cui serbo sì bella memoria, il mio pensiero galoppava, mi portava lontano, lontano.... » E nella Gioconda? Con che intelletto d'amore ella fa disporre le statue, i busti, gli studi ; prova e stabilisce gli effetti della luce ! ! ! E quella sera, torno a dire, nò men codesta volontà, nò men la forza di codesta volontà !... E se bene il publ)lico non avesse veduto a den- tro nella miseria artistica di quella recita, e, spe- cie nel secondo atto, si fosse dato a segni a bastanza vivi e frequenti di ammirazione, pur 173 nullameno la Duse mi apparve simile a un (le'tauti della gran famiglia, che all'ultimo calar (Iella tela, mettendo un lungo sospiro di refrige- rio, si lasciano andare all'esclamazione: Ah ! Anche 'sta sera ho finito! Eleonora Duse non ha l'anima tragica. Questo aft'ermarono e affermano quei critici piccolini, che non sapendo 11 nome di traf/edia discompagnar da (piello di Vittorio Alfieri^ non sa- prebbero ne pur vedere, nella finzione scenica, fuorché eroi giganteschi dai petti quadrati, dai muscoli d'acciaio, dalle voci stentoree; eroine ma- tronali con opulenza di seni, di braccia, di fianchi; 176 uè udire fiiorchò frasi e pensieri convulsi : Togliti, dorma - Infra poch'ore, .se morir (U.s.si, il saprcnt noi - Arretrati - Baffffiunff erotti in hrere - Tu invano il furor mio raUicni - J)[uori fcllon - .... Oli! rah- hia!... - La Pellandi e l'Internali: la Marchionni è già una concessione, la Ristori una degnazione. Chi fra le nostre attrici sai)rebbe dire a dovere un verso tragico ì chi vestir degnamente una tu- nica o un peplo? chi dar movenze plastiche ai lor corpicini sottili e nervosi, stecchiti entro la morsa del barbarico busto? E per tal modo il lor giudizio che potrebbe aver valore in quanto si riferisca all'unica tragedia alfieriana, diventa un error nuulornale per la tragedia di altro ge- nere, si)ecie la greca e la shakspeariana. Idear solamente un tentativo di ammoderna- tura nella forma di esecuzione dei moti e motti alfieriani è certo ride vole; ma non men ridevole parrebbe a me il voler dar forme plastiche ai moti e motti shakspeariani. L'estetica dell'attore io credo non doversi mai discompagnar dall'estetica dell'autore: a parte il fisico del i)ersonaggio a rigore d' istoria, noi 177 dobbiamo formargli una tisiouomia esteriore a rigore di forma.... E come, dunque, non sapremmo immaginar su la scena una donnettina molle, snella, flessuosa, temperamento tutto moderno, che sotto le sj)oglie della Oleoi^atra d'Alfieri rug- gisse dal palco lìujratissima donna, a liliale orrore t'ha .spinta in oijyi l'ambizione insana? Ecco mi par V ombra tradita avanza pallida minacciante, ed assetata abbeverar si vuol di sangue infido. Ah! vieni, sì.... vieni, che, ignudo il petto io ti presento inerme E che?... vacilli?... Feri, crudel, e non temer che il ciglio a raddolcirti avvezzo, or neppur mova al balenar del vindice ttw ferro nò altra, imponente, statuaria, da' passi in ca- denza, che, sotto quelle della Cleopatra di Shak- speare, cinguettasse: Musica! Fatemi della musica. La musica è l'ali- mento melaìiGonico di coloro che non viiion che d'amo- 12 178 re.... No.... non della mìtsica.... giuoclwremo al disco.... No non jfiù giuochi.... preparatemi le canne ch'io vo- glio andar a pescare.... e a ogni pesce eh' io trarrò fuor dell'acqua, immaginandomi dÌ2>rendere un Atìt Ionio, esclamerò: Ali! Eccoti preso!..., così, ben diversi nel criterio degl'interpreti si mostreranno anche il Carlo di Alfieri e Dojì Carlos di Schiller, diversi il Nerone di Alfieri e il Nerone di Oossa, diverse la Messalina di Cossa e la 3Ies- salina di AVilbrand, diverse la Eosaura di Gol- doni e la Livia di Ferrari; e così, diverse natu- ralmente si mostreran la Francesca di Pellico e la vivamente attesa di D'Annunzio. E se vogiiam lasciare da un canto i paragoni tra gli stessi per- sonaggi trattati da'vaq autori, contentiamoci del l)aragone di uno stesso personaggio di uno stesso autore, nelle varie traduzioni, e vedrem che la Cleopatra di Rusconi è ben altra da quella di Oarcano. Eleonora Duse non ci ha dato che un esempio tragico: Antonio e Cleopatra, a punto, di Shak- speare, e ne ha' promesso un altro, aspettato, so- 179 spirato gTan tempo in vano dagli assetati di bello: L'Antif/onc di vSofocle nel volgarizzamento di Gabriele D'Annunzio. E qui mi vien subito fatto d' opporre alle sopradette queste interroga- zioni : quale attrice nostra o forestiera potrebbe con più verità, con più sentimento, con più forza drammatica ribatter sotto le spoglie della misera suora di Polinice la inumana ragion di Creonte! Quale con più altezza di volo lirico sospirar la incomparabile scena della tomba?... Quale.... Ma veniamo a cotesta Cleopatra, per la quale si decretò die alla Duse mancava l'anima, tragica, forse perchè alle imagi ni del granitico verso di Alfieri anche si congiungevan nella mente del critico, come già ebbe ad osservare il fiorentino Jarro, le giunoniche spalle e il petto esuberante della Cleopatra di Guido Eeni, un magnifico esem- plare di servone germanico. Lasciamo andare la descrizione fisica lasciataci dagl' istoriogTafi, quali Platone e Plutarco, e contentiamoci di quella che salta fuori dal lavoro stesso di Shakspeare. Quando nella seconda scena dell'atto secondo (parte terza) il messaggero annunzia a Cleopatra 180 il iiìati'iiiioiiio (li Antonio con Ottavia, ella vuole avanti ogni cosa conoscer di questa i lineamenti, l'età, l'indole, e sopr' a tutto il colore dei capelli.... « Non (ìimenticarti il colore dei capelli » dice a Oarmion. Secondo la descrizione del messaggero, Ottavia avea la voce hassa^, muovea strisciando, (vvea un corpo senz' anima, era redora, mostrava treni' anni, arerà il volto grasso, i capelli hruni, e la fronte hassa. E se tal descrizione fé' torcer la bocca a Cleopatra con atto di disprezzo per la nuova rivale, e domandar i>erdono de' suoi maltrattamenti al messaggero, e dargli oro; ne vien di conseguenza che Cleopatra avesse i re- quisiti opposti a quelli di Ottavia, cioè: incesso maestoso, persona snella, volto magro, capelli biondi, giovinezza, ecc., ecc. Come riprova della deficienza tragica di Eleo- nora Duse, si cita il fatto che la sola scena della tragedia, che trascini veramente il pubblico, sia cotesta a punto del )ììessa non tur dette davvero, o dette ben altrimenti.... perocché la Duse ben sa che ninno più e meglio di lei potrebbe attinger la bellezza e la fiamma av- vivatrice della vita cui ella tende. !N^on man- candole il danaro, né hi forza dell' ingegno, né la cultura, ella anche sa che ninno i>iù e meglio di lei potrebbe costruir solidamente, se ben pifi modestamente, cioè più praticamente, il castello architettato dal suo e dall'altrui genio. E infine la Duse ben sa che se, irrealizzato il sogno iper- bolico del Teatro di Albano, ella mescolò e va tuttor mescolando a quelli di Shakspeare, di Ibsen, di Pinero, di Sudermann, di D'Annmizio il nome di Sardon, il di cui teatro, nell'anno di grazia mille e novecent'uno, mi par qualcosellina più convenzionale di (luello che si vorrebbe distrug- gere, niun uomo e ninna circostanza ve la co- 203 strinse, iuiperocchè ninna artista e ninna donna sia al pari di lei signora assoluta della propria A'oloiità. ]V[a torniamo alla Gioconda. A farne men dnbbia la bnona riuscita, Eleo- nora Duse s'avea congiunto in nn rapido giro a traverso l' Italia Ermete Zacconi. Mai connubio d'artisti fu salutato con mag- gior gioja dal i^ubblico: la Duse e Zacconi! La più gTande attrice e il pii^i grande attore di og- gidì! A me, in vece, a essere schietto, non mai sarebbe balzata una tale idea, che rappresentava a punto nel mio pensiero il più strano dei con- nubi. La Duse e Zacconi! Sentivo già con l'ima- ginazione la frase carezzosa, musicale, dolcissima, svenevole a volte, dell'una, alternantesi con quella dell'altro vera, troppo vera tal volta nella rigi- dità cruda : il sospiro melodico del violino, e gli strappi cux^i del contrabbasso.... E quel eh' io aveva imaginato, fu a' miei orecchi una verità irrefutabile Zacconi fu maraviglioso, e maravi- giiosa fu la Duse ; ma nell' accoppiamento delle due gTandi forze così disparate, il maraviglioso 204 andò perdciuU) la sua reale intensità. Ter buona sorte, le due grandi forze non avevan nell'opera d'annnnziana troppa mescolanza di i)arole : e nella medesima scena d'amore, Silvia comincia a discorrere, non più interrotta sino alla line, sol quando Lucio ha terminato il suo magnifico sfogo di lagrime. Il successo della Gioconda fu nell'insieme buonissimo; ma quello a punto di quella scena d'amore, e della miclielangiolesca descrizione de' maniii al secondo atto fu entu- siastico. Dal giorno aduncpie in cui la Duse mi scrisse « conto su di lei i)er la parte di Lucio » non mi pare fuor della logica ch'io dovessi aver per- duta la i)ace. Ero così penetrato del uno carattere da non poter i)iù ristarmi un sol momento d:il ruminarne i brani più salienti; e tanto m'infer- voiai nello studio, che nella ripetizione costante delle i)arole, mi sentii a poco a poco transmutare, e diventar, come il uno personaggio, un degene- rato dello si^irito. Poi vi era da sostituire Zacconi, salutato, e ben a ragione, il più grande attore gio- vane d'Italia, e so])r'a tutto, da recitar con la 205 Duse. Al tempo degli sponsali d' Isabella di Ba- viera, la Duse era ben altra.... Recitar con lei signi- licava recitar con nna cara compagna d'arte qiial si fosse.... ma nell'anno di grazia 1899!!! E tnt- tavia feci buon animo, e mi preparai lentamente, discij)linatamente alla battaglia. Quella sera che fu del 18 settembre, non si recitò a Berlino, e si fu invitati per la prova della Cleopatra e della Gioconda. Un' ora dopo l' ora convenuta, fu dato avviso dell'arrivo della ^Signora. Come per in- canto il crocchio degli artisti si disgTegò, ed essi andaron chi da una parte, chi dall'altra, su le punte de' piedi, paurosi di trovarsi al passaggio della veniente. E la prova comincia nel x)iù per- fetto silenzio.... Siamo alla scena famosa del primo atto. Spù'ata a pena l'ultima nota della mia romanza, la Duse si alza, e se ne va lon- tana, dicendo con atto e accento di stanchezza: secondo atto. — O il rimanente? — Che rimanente? — Ma non mi dice la sua parte ? — Ma che !... 206 — E che cosa fa Lei a (questo punto? — Vedrà. — O io.... — Ma si cheti, brontolone. — E quella seconda parte della scena non fu provata mai.... Anzi : come avevo terminato la gran frase di ijianto, elUi dalla prima volta in poi, comicamente si alzava, e mi piantava lì tut- tavia inginocchiato davanti alla sedia vuota, paga di accrescer la mia trepidazione. Il dì dopo si conobbe la risoluzione di non X)iù recitar la Ciioconda. Ohe era accaduto ? Si misero in campo assai ragioni, tra cui dominante quella di uno scarso teatro, e forse di una ribellione del pubblico ti- morato, non potendo la moralità germanica far buon viso a un lavoro in cui l' arte si sovra})- pone alla famiglia: ragione già detta, avanti di recarci a Berlino. Conuinque fosse, il fatto sta ch'io m'ebbi dalla Duse la lettera gentile che (jui ri[>roduco; e che, messo piede a Bukarest, tornò subito in campo l' idea di recitar hi (iìo- Gonda ; e 'sta volta la sera della rappresentazione 207 (20 di ottobre) venne davvero, e io mi trovai no- vamente a sostenere nua fiera lotta co' miei nervi, che tentarono a più riprese di dominar la mia volontà. Né giovarono a mettermi in calma gi' in- coraggiamenti, o meglio le scherzose derisioni della Dnse il dì innanzi, la qnale ebbe anche uno di qnegli accessi di loquacità raccapricciante, per cui dava tal volta l' imagine di un tìume strari- pato, che nella torbida corsa travolga orribilmente uomini e cose. Inneggiò a Byron e a Shelley, ac- cennò al cristianesimo e al paganesimo, trattò della moda del busto, vi mescolò un pizzico di Shakspeare, toccò della malattia del principe ere- ditario, della morte del principe Ghika, della do- gana, degli zingari, del grano, della razza latina, dell'oriente, e affondò finalmente, estenuata, nella Vita Nuova di Dante. Ma tutto il periodo di laboriosa incubazione che precedette l' andata in iscena, le angosce tor- mentose generate, come ho detto, dal dubbio di non recitar la parte a dovere, e sopr' a tutto, di perdermi al cospetto della Duse, dileguaron come per incanto, non a pena ebbi messo il piede su 208 hi scena: ed el)bi per sorte una così fatta tran- quillità d'animo da poter analizzare, considerare, valutare ogni moto e ogni suono dell'artista ma- gnifica. Ed eccoci soli alla fine del primo atto. Già ella mi aveva vinto con la dolcezza dello sguardo con cui mi dava a odorar le rose che teneva tra le mani, avanti la partenza di Cosimo Dalbo.... In quell' istante mi sentii Lucio veramente, e un nodo improvviso mi troncò nella gola il respiro affannoso.... Un attimo ancora, ancora una parola sospirata dalla magica donna, e il pianto mi sarebbe uscito dagli occhi sincero e copioso. E così fu. Ma eccoci alla volta di lei. Un pen- siero mi afferrò subitamente : che avrebb' ella fatto in (piella parte di scena non mai provata? E sopr' a tutto, che avrei i)otuto fare io ? Non dire, non dir jtih ! Il cuore ììou m///<. Tu mi soffochi di gioia.... Una sola parolu io attendeva da te, una sola, nuli' altro; e a un tratto tu m' inondi d'mnore, tu mi riempii tutte le rene, tu mi sollevi 209 oltre la fiperanza, tu trapassi il mio sogno, tu mi (lai la felicità die e sopra o(/ui attesa. Alsati! Alzati! Vieni più ricino al mio cuore, ri- posati so2)ra di me, ahhandonati alla mia tenerezza, premi le mie mani su le tue palpebre, taci, sogna, raccogli le forze profonde della tua vita. Ah, non me soltanto tu dorresti amare, non me soltanto, ma V amore die io ho per te; amare e/ue- sto mio amore! Alzati! Alzati! Vieni 2^^^ vicino al mio cuore; riposati sopra di one. Non senti die puoi aMando- nartif Che nulla al mondo è più sicuro del mio petto f Che sempre lo troverai f Ah, io ho pensato qualche volta che questa certezza potesse ine!) riarti come la gloria.... Bella fronte possente, seminata, benedetta! Che tutti i germi della Primavera s'aprano ne' tuoi pensieri nuovi ! 14 210 Dove ero io allora F Che facevo io al cospetto di quella donna? Non saj^evo nulla, e pure agwo; e mi parve di agir naturalmente e sicuramente, come se quella scena fosse stata provata non so dir quanto.... Che dolci sospiri, e soavi carezze, e nuovi incantamenti! Con che dolce atto di amo- roso orgoglio ella chiude la scena, solcando con la mano trepida la fronte adorata !... Chi mi pre- sta le parole a significar degnamente, intensa- mente la musicalità perfetta de' toni, l'armonioso intrecciarsi delle note argentine, il largo svilui)i)o del gran poema sinfonico a piccoli archi che in- canta, che delizia, che trasporta in alto, in alto, che vi fa buoni! Ora: aggiungi al fàscino dei suoni lagrime sincere che brillan su quegli oc- chi pieni di languore e di amore, e solcan la gota estenuata; sorrisi pieni di speranze; abbraccia^ menti molli, soavi, e pur tanto profondi, ed eccoti dinanzi al sublime dell'arte. La scena novissima, e non pur tutta afferrabile da una moltitudine straniera alla nostra lingua, davanti a cui si af- fievoliva la magica forza dello stile, ebbe un suc- cesso de' i)iù clamorosi.... 211 Nella seconda scena dell' atto terzo, ov' è il pu- gilato tra Silvia Rettala e Gioconda Dianti, la Duse non seppe ancora a mio giudizio trovar la misura, né saprà forse trovarla più mai. La si- tuazione è vera, non potrebb' esser più vera; ma le parole vi son troppe forse.... belle, magnificile, ma troppe.... e quel tropiìo, dando una esuberanza di vita all' azione, ne altera la verità. La Duse par trascinata alla prima dalle ragioni che si suc- cedono e s' inseguono e irrompono contro la ri- vale: la donna qui è soggiogata dall'artista; tanto è nel personaggio di Silvia, che non le dà l'animo di contenersi al primo apparir di Gioconda.... eli' è come il duellatore, che messo a j>ena in guardia, si dà all'assalto fieramente, ciecamente, dispera- tamente, perdendo nella improvvisa e impronta disi)ei'sion delle forze la probabilità della vitto- ria. Non più l'accento del sarcasmo, non più l'ac- cento del dolore, non più né anche il rispetto alla didascalia illuminatrice dell'autore.... Essa per- viene di subito con l' oltraggio dell' avversaria all'estremo tasto del suo cembalo; e non avendo più né la serenità della mente per tornare a' tasti 12Ì2 bassi, né il potere di trovarne di più alti, procede su queir estremo, alterandolo, forzandolo. Alla monotona alterazione dei suoni va congiunta, na- turalmente, quella dei muscoli facciali ; natural- mente al suo diapason dee rispondere con eguale diapason la Gioconda, per riguardo alla perfetta intonazione del dialogo; di guisa che le due donne non paion più due nobili contenditrici che riven- dichili, ciascuna, con la forza degli argomenti inop- pugnabili il loro diritto, ma due gridatrici dispe- rate, che nella ossessione della disputa abbian perduta la ragione. Ma la tragedia volge al suo termine. Allo spa- simo fisico delle mani schiacciate, succede nel quarto atto lo si)asimo morale alla presenza della figliuola; e come nella scena descritta del primo atto ella si mostra di una suprema, ineftabile soa- vità, così in questa, che è l'ultima della trage- dia, ella tocca il sublime del dolore. È Beata, la sua piccola che viene, molle di sudore, ansante: e dà grida di gioia e si slancia verso la madre, che ofi're la faccia morente ai furiosi baci di lei.... Non ha che queste parole: « Sei tutta molle di 215 sudore, sei tutta calda, bruci.... mio Dio ! » Poi alle insistenti preghiere della figliuola, non altro che il nome « Beata ! » ripetuto con rammarico, con supplicazione, con isfinimento, con terrore. — Beata !... Non dir più ! Non dir jmi ! Non posso! Non posso! — Beata! Sì, cara! Sì, roglio, correi.... ma non insistere! — BExVTa! Beata! Oh clic spasimo dalle tue pa- role! Che strazio! Non pih ! Non più ! — Beata! Beata! Lasciami ! Non posso pren- dere quei fiori ! Non jwsso ! — Beata! Ahhi pietà di me! Ahhi pietà di me! Noìi fedii Io muojo ! Io muojo! E la voce piangevole, estenuata, le lagrime che le sgorgan dagli occhi semispenti, rigandole la fac- cia bianca, hanno significazioni così vive di spa- simo, che l' arte è qui j^ervenuta oltre il credibile. 216 Davanti alla Duse aiiclie le iiioltitudiiii del Nord, addensate nei teatri, lasciarono il naturai riserbo della loro razza, frenetiche sotto l'incanto della parola divina: ma quivi, a Bukarest, l'espan- sione fu clamorosa, direi chiassosa oltre misura. Quasi tutti gii studenti universitari s'eran dato convegno al Teatro Nazionale; e pareva ogni tanto di assistere a una di quelle nostre feste scolare- sche che sono il tripudio della giovinezza. Mi tro- vai davvero, 'sta volta, in mezzo a gente della nostra gente ; che, levata in piedi, e piotenden- tesi dai palchi, dall'intima galleria, dalla platea jjrofonda, evocava al Unir d'ogni atto l'incanta- trice con le grida, i battimani, lo sventolar dei fazzoletti. In quella sera Costante Nottara, il primo at- tore del Teatro Nazionale di l^ukarest, che in al- cune jM/*ii ricorda il nostro Zaccoui, salì, come demente, a palesarmi la sconfinata ammirazione per l'arte ineffabile di cotesta donna, onde si dif- fondeva nell'animo degli ascoltanti mia tal feli- cità intellettuale, che si vorrebbe restar davanti a lei con sonnnessione di schiavi, a bevere in un 217 rapimento celeste l'armonia degli sguardi elo- quenti e delle parole rivelatrici. E il suo pensiero mi dichiarò poi distesamente con questa lettera che volgarizzo dalla lingua francese: La Duse rimarrà V incarnazione Huperiore e ini- ìuitahilc (iella sua arte. Io sfido chiunque a percorrere le stesse vie per le (inali ella (jiumje a gettare il l)rivi(lo nel pulthUco. Senza di' ei se ne renda conto, egli è costretto ad ammirar questa artista potente e varia, clw possiede un temperamento febbrile, una voce carezzevole, una mimica straordinaria ; eli' è una maga d'arte, che ammalia a prima vista la sua preda: voi piangete per le sue lagrime, voi ridete per la sua gioja, voi soffrite jnr le sue pene. Voi vi sentite per ogni lato, come da una valanga, soffocato, avvolto, scomhujato, alleviato e annichilito, dalla intera gamma della pas- sione ch'ella interpreta con tutto il rigore della psico- logia moderna. La maestria con la quale ella adopera il bulino per cesellare i suoi personaggi è sì maravigliosa, che ogni artista, quanto si voglia egregio, il quale osasse 218 servimi di un simigliante processo pvr le sue inter- pretazioni individuali, non ne avrebbe che l'impo- tenza e la delusione di uno sforzo inutile. E inoltre la sua estetica, spinta al sommo della semplicità, la rende ancor più composta ne' suoi gesti e in ogni suo atteggiamento. Ella è il modello rivo e perfetto per il psicologo, il pittore, il letterato, perocché dal ri- percuotersi dell'angoscia che vibra ancora nell'anima sua urtistiea, nonostante il vanir della crisi essi pos- son trarre partito a far valere la lor propria arte. In una parola, la Duse è il più grande avvenimento dell'arte drantmatica in questa fine di secolo. Anche in quella sera, il segretario intimo di Elisabetta recava il saluto della Maestà di Eu- menia alla Maestà dell'Arte, e il rammarico pro- fondo di non aver potuto, a cagion della malattia del principino, pigliar parte all'enlusiasmo del suo popolo; e il Ministro della Guerra le recava le insegne del Merito. Ho ancor negli orecchi la voce argentina, la festività con cui la Duse ])roferiva il nome di Carmen Sylva.... « Oh, amo molto Carmen Sylva! 219 Oh! Come ammiro Carineii Sylva!... Oh! Gl'Ita- liani conoscon beue Carmen Sylva!... » e la Ke- gina, non più grande forse di un' altra donna nel pensiero della donna, redimita il regal crine di lauro, appai-iva gigante nel pensiero dell' artista. Terminata la rappresentazione, il pubblico si addensò, fuor del teatro, intorno alla carrozza della Duse. L'atrio era stipato di gente silen- ziosa, che aspettava.... Il silenzio era stato im- posto : l'artista, consapevole, si sarebbe certo sot- tratta alla dimostrazione imminente. Ricorsero a strattagemmi, l'avvolsero dei Dignitari della Corte, la distrassero, la condussero verso l'atrio, ove giunta a pena, la moltitudine aspettante con un urlo solo, alto, frenetico, lungo, l'accolse, l'av- viluppò, l'afferrò di sorpresa, e la cacciò, quasi, in carrozza, dalla quale erano stati distaccati i cavalli: e con le grida spensierate dei giovani entusiasti, fu trascinata per la piazza, lungo le vie, e condotta poi all'albergo, ov'eran sempre i ministri ad aspettarla. Non dimenticherò mai la stupefazione e, dirò, la incomi)rensibilità che io lessi dipinte sul volto 220 (Iella Duse, ceicaute per o^iii lato con moto al- terno e rapido la porta dell'albergo! Parea dire: « Ma che mi tanno ? Ma clie è accaduto I Ma dove sono! » Un nuovo ap[)lauso scoppiato fra- gorosamente la accompagnò fino al suo disparir dallo scalone, cliiudendo in modo solenne (piella sera indimenticabile di gloria per l'arte d'Italia. '\S Il giorno dopo, essendosi fatto il passaporto cumulativo, si dovè partir tutti alle 5,25 per Bu- dapest. M' intrattenni lungamente alla stazione a discorrere con la Duse, la quale ebbe anche per la mia recitazione della Gioconda assai belle parole. La sera si assistè dal treno a uno di quei tramonti di fuoco, maravigiiosi, e la notte si re- stò svegli a contemplar la melanconica catena 222 (lei Ojirpazj, poeticamente rischiarati dalla luna fredda. Arrivammo al tocco. Avendo la Dnse proseguito il a iaggio per Vien- na, i)otemmo a tutt' agio contemplar la città ma- gnifica, ove non saprei ben dire se sian più degni di ammirazione le strade amplissime, i monumenti maestosi, i caifè sontuosi, le donne stupefacenti. Eravam già stati a Budapest nel Millenario del- l'Ungheria, e di ninna città, come di questa, s'era serbato così lieto ricordo. Vi avevam notata la gaiezza di Parigi, senza il frastuono, la severità di Berlino, senza l' oppressura, l'austerità di Lon- dra.... senza la nebbia. Budapest ci sembrò più tosto un immenso GrcCben viennese occupante le vie principali di Andràssy, Kerepesy, ecc. ecc., per- corse da omnibus, trans^ai elettrici, automobili, bi- ciclette, vetture, equii)aggi di ogni specie e di ogni colore. Ora un teatro ti colpiva, ora un albergo, ora un nuist^o, or un caffè. Oh! quei caffè..., ove la ricchezza degli specchi, delle pitture, degli ori, dei marmi, della luce è profusa a piene mani! Ove le donne in abbigliamenti elegantissimi, mescolate 223 ai giovani più impreudenti ed arditi, conversano e disputano, parlano e cinguettano, ridono e sglii- gnazzano; e le lor voci si coufondon con le ar- cate magistrali de' violini tzigani, o con gli strai^pi stridenti, assordanti del cembalo zingaresco. E non soltanto le donne da impresa frequentano i caifè ; ma sì le più ragguardevoli, e di giorno e di notte; e ciò dà un aspetto gaio, ricco, svariato alla gio- vane e gran capitale, di cui già suol dirsi : Extra Huìigariam non est vita: si est vita, non est ita. E non est ita davvero, possiam noi confermare, se si consideri la larghezza della sua ospitalità verso gli stranieri, che non siano austriaci, e che siano, soprattutto, italiani. vS'andò in scena al Teatro Popolare {Népszinlmz) con La Siijnora dalle Camelie, il 26 di ottobre ; e la Duse vi ottenne tale trionfo, che dopo il quarto atto fu chiamata ben dodici volte al proscenio con alte grida di Ellien! Ellien! Mia moglie ed io assistemmo alla rappresentazione da un po- sto dell' orchestra, riserbata, come a Bukarest, ai maggiori artisti drammatici e lirici, tra' quali ri- cordo una donna che pianse tutto il tempo dal 224 terz' atto in poi, non istancandosi di agitar, come alienata, il fazzoletto, a ogni comi^arir della Dnse all'onor del proscenio. Anclie 'sta volta ebbi campo di notar la ver- satilità dell'artista. I famosi Annaudo del (piarto atto furon di potenza straordinaria, ed ebber su la moltitudine effetti prodigiosi; ma alla lettura della famosa lettera del secondo atto, e al non men famoso uscir di scena, al momento dell'ab- bandono, del terz' atto, fu trascurata.... fredda: si sarebbe detto clie avesse voluto sorvolar di proposito quei due grandi momenti. Ma, in com- penso, quali effetti nuovi non sepp' ella trovare nella scena con Armando al secondo atto, (pian- d'egli, dopo a punto quella tal lettera, torna a chiederle perdono? TI successo fu indicibile; e i buoni ungheresi andavan di sera in sera ognor più in visibilio: a Budapest non v' era lo scarso raccolto del grano, non la morte di un uomo illustre, non la malattia di un principe reale che tenesse quel popolo en- tusiasta, dovizioso e generoso, dall' accorrere in folla a sjilutare il genio y E la osservazione fé' seguire da uno di quei risolini di bimba, rarissimi, che la fan la più seducente creatura del mondo, sgat- taiolando poi nel suo camerino, come se qual- cuno la inseguisse. La sera dopo s'andò a teatro a sentir la Blaha, la più grande delle artiste popolari di Budapest, che tornava alle scene dopo alquanti giorni di malattia. Aveva cinquantott' anni, e cantava an- cora maravigliosamente. Anche nella recitazione mi parve un'assai buona attrice, e buona mi 15 226 parve sua figlia, mi' amorosa incantevole. Il popolo ungherese adora il suo vecchio idolo, come se fosse oggi all'apogèo della gloria. All'uscir di teatro ella trovava da venticinque anni una folla stipata che l'aspettava, paga di vederla, di salutarla. — Bestino anche loro, — ci disse il portiere; e restammo infatti, e la vedemmo uscir tutt' av- volta la testa d'uno scialletto nero, e incammi- narsi frettolosa al tran vai elettrico, seguita da una donna di servizio alqnanto dimessa. — Vedon che semplicità f — egli ci fé' osservare. — E quanto le danno ! — Non so bene, ma circa cinquantamihi co- rone. — E ci guardammo in viso, mia moglie e io, e il nostro pensiero simultaneamente corse lontano, lontano.... A Budapest i teatri sono magnifici, e non difet- tano di artisti egTegi.... Al Teatro Popolare, oltre alla Blaha, è la Kiiry, un' artista da operette, che fa correr subito con la mente alla Judic, se ben di questa più comi^leta. Il suo ballo, il suo canto, e la sua recitazione sono una perfezione del gè- 227 nere. Io ho sentito 1' operetta Giorno e Notte, in cui ella si rivela artista g:randissima: e son certo che ove si decidesse a nn giro all'estero, vi avrebbe le stesse accoglienze entusiastiche di Budapest. Al Teatro Nazionale sentii la Stuarda di Schil- ler, protagonista la Iaszai, la quale nelle scene con Mortimero (Mihalifi) e con Elisabetta (Hel- vey), ebbe momenti di grande efficacia, e in tutto l'ultimo atto mi richiamò la potenza di iVdelaide Kistori. Il 30 si diede Casa imterna, e il 31 La Princi- pessa Giorgio di Alessandro Dumas tìglio. « A qual tine la Duse ha voluto risuscitare im- provvisamente, soccorsa da una sola prova un' ora avanti la rappresentazioue, con osservazioni rapi- dissime, a salti, accennate a pena, su i caratteri, su le disposizioni di scena, su le inflessioni, questo scheletro di commediai Volle mostrar la sua nova grandezza sotto le spoglie della tradita princi- l)essa? A quali risorse di artista pensò di affi- darsi con la misera protagonista di questa miser- rima opera, che oggi, sotto il peso degli anni, 228 mette a nudo avanti al pnl)l)lico tutte le mende, che il pregio della novità per un cotal corso na- scose, o attenuò? Intendo fino a un certo segno, e compatisco l'artista, colossale in una parte, co- stretta dalle esigenze del tempo ad avventurarsi in essa, benché la commedia non severamente allestita; davanti all'eccellenza dell'arte sua le lacune probabili non saranno avvertite: in una rappresentazione di Eleonora Duse chi vorrà darsi la pena di pender dalle labbra di altri personaggi, siano quanto si voglia egregi ? E sta bene! Ma di rincontro: quanto meno avvertita sarà l'eccellenza dell'arte, assai pii'i avvertite saranno le lacune probabili; e questo è pur troppo il caso nostro, benché gli artisti non solamente non abbian colpa nella meschinità del successo, ma si mostrin anzi maravigliosi nella lor disinvoltura apparente.... » Queste parole e altre ancora di maggior stui)e- fazione andavo dicendo a Berlino la sera del 29 settembre a ogni fine di scena, a ogni fine di atto della Princqìessa Gion/io di Alessandro Du- jnas figlio, a mia moglie e a Clelia Garibaldi, 229 un' ammiratrice profondissima di Eleonora Duse, eh' era venuta a posta da Weimar i>er la recita della Gioconda^ che fu poi sospesa. La sera del 31 ottobre si è ripetuta la Prin- cipessa Giorgio a Budapest, e la Duse vi è stata maravigliosa. Dovetti allora tornar col pensiero a quella prima rappresentazione; e l'una all'altra comparando, anclie più mi sorpresi per quell' an- data in iscena affrettata, direi quasi strozzata. Cotesta avversione alle prove è la maggior macchia, forse, nella vita artistica della Duse; e si potrebbe anche leggervi un poco ossequio a quel- l' arte alta, di cui s' è fatta più volte, al cospetto del mondo, apostolo fervente. La Gloria di Ga- briele D'Annunzio, un poema drammatico pieno di ardimenti, pel quale l'armonia delle voci, il movimento simultaneo delle masse son più che altrove concorso grande al buon successo, fu messo in iscena di sbalzo con a pena tre prove della Duse al Teatro Bellini di Napoli, e vi sortì la più clamorosa delle cadute. Perchè ! Avrebbe potuto non recitarla. Ma essa è superba di fare omaggio con tutte l' energie al suo poeta, e di 230 abbeverarsi, come assetata, all'aurea co])pa, die tanta parte ebbe nella metamorfosi artistica di lei. Ed è gran servizio eh' Ella rende al suo poeta, mostrandosi dne o tre volte alla prova di tal lavoro, in cui pel tragico del concetto e del movi- mento, per la novità dello stile, e per la dovìzia delle imagini, sarei )bero necessarie almeno (piin- dici () venti prove a ottenere grande simmetria di azione, grande armonia di voci, e soprattutto grande armonia di metodi nella esposizione? E poi: perchè a quell'unica coppa! Presentita la naturai ramiiogna generata da codesto esclimvi- sHio, essa te' annunziare il nuovo disegno di allestir per la scena ora / Coici dello Shelley, ora il Mac- heth dello Shakspeare, ora.... altro. Ahimè, indarno! Ancora: ma perchè, pur lasciando di toccar la ragion delle novità, a qualsivoglia terra appar- tengano, non ris])<)iidcnti ai nuovi gusti di lei, essa, con lo intento clic più volte mostrò di rin- novar suoi vecchi triontì, non accolse anche nel suo repertorio alcun buou frutto delhi sua terra ? E tal rampogna non le venne di Francia, eh' è jmr sì altera di sé e delle cose sue f 231 Dopo che fu affermato essere stata l'apparita della Duse in su le scene di Parigi un grande esempio alla giovane arte, non le si rimproverò anche di non aver col suo genio fatto cono- scere oltre Alpe l'opera drammatica del suo I)aesel E alla rappresentazione della LocantUera e di Cavalleria Rusticana, con le lodi ti'ibutatele fuor di misura non si rinnovò il rimprovero anco più vivo e, quanto si voglia, cortese ? Oh ! Per- chè Eleonora Duse non vuol ricordare e far ri- cordare a' suoi mille e più mila devoti il trionfo eh' ella ebbe, anni addietro, lìeìV Amore senza sti- ma di Paolo Ferrari, nella Moglie ideale di Marco Praga? La conversazione coi parassiti burloni, i dialoghi col marito, col padi'e, coi domestici non erauo il poema della rassegnazione! E la scena capitale del terz'atto con la Marchesa Agnese, un miracolo di ironìa sottile, non era tale, nella grandezza dell' artista, da stare appetto alle più salienti della Signora dalle Camelie. Moglie di Clau- dio^ Seconda Moglie^ di Magda, Cleopatra, Fedoraf E la Moglie ideale? Forse che la modestia della Siguora le ha fatto dimenticar la potenza sua ri- 232 velata negli scatti di rivolta, uelle parole di sar- casmo, in tutte quelle scene di suprema finezza e di suprema finzione? È la modestia sua, che 1' ha fatta obliosa di queste parole del Fortis: Ed (' (ippuìito per iiucstu sua ipocrisi(( di ììku/Hc, e per la sua cinica sfrontatezza di amante, che la Giulia del Praga sarebbe sulla scena un tipo tanto odioso die falso, se la immensa abilità della Duse non riesc'isse a vìncere le resistenze del pubblico, im- imncndoqli, con la ammirazione per V artista, la simpatia pel personaf/gio. Ma per riescire a questo, la Duse plasma a modo suo il tipo creato dall' autore — e ne forma uno, in parte diverso, che avvolge in un' atmosfera artistica, in uìut, vaporosità azzurra, di originalità, di biz- zarria, e quasi di idealità — vaporosità rhc impe- disce al pubblico di distinguere Ijene i lineameìiti meno simpatici della figura di donna, sensuale e viziosa, disegnata d<(l l'raga, ed è appunto il dise- gno che essa corregge col colorilo a [fascina ale ddla sua tavolozza. 233 La Giuliti — che la Duse fece tanto aiìplamlire ter sera col meraviglioso segreto di quella sua inter- pretazione, che completa il dialogo ove langue, e lo forma ove non e' è, con le sue pause, coi suoi silenti, coi movimenti della persoìui, col modo di guardare, con certi suoni inarticolati ai quali sa dare tanta eloquenza — la Giulia di ier sera. ... ? E clii de' suoi devoti potrebbe obliar la gran- dezza sua e in Scrollina di Achille Torelli, e in Tristi Amori di Giuseppe Giacosa, la miglior com- media italiana uscita in quest'ultimo ventennio e in altre opere ancora? 234 JS'essuna risposta; e tornerebbe vano preten- derne alcuna. Koi la vediamo, e la vedremo ogni ora continuar diritta la sua via con insistenza, con tenacia, direi con pervicacia immutabile, generata da una palese stanchezza del corpo e della mente. In tutto ciò che è teatro fuor del teatro^ ella trova un tedio, una fatica, un peso ; e però ne vive se- parata, quasi estranea. Né soltanto alla prova, ma anche alla sera di rappresentazione, tra le quinte. Tu la vedi, per esempio, in Magda, seduta presso la porta d' entrata, con la testa china, e le braccia spenzolate con atto di stanchezza. Nella Sùpiora dalle Camelie ella si prepara al l)raccio di Var- ville, circondata dagli attori che debbono entrar con lei; e fìnanco il respiro è da essi rattenuto a serbare intatta la religione di quel silenzio. Ohe fa essa allora la Duse? che pensa? Entra, per cosi dbe, nella pelle del suo personaggio ? O sino al momento della transtìgnrazione l'anima sua non ha moto? o si rivolge altrove, lontana, fuor dal teatro, fuor dalla scena, fuor dal suo personaggio? Alcuna volta con atto di sfinimento e d' impazienza insieme, si volge a' compagni, e 235 racco mail (la sospirosa: « Fate i)resto, ragazzi 'sta sera.... T^on ne posso più.... » E lo sfinimento, al- cuna volta, continua, come abbiani visto, anche (lavanti al pubblico.... Ma il più spesso, spirato appena il dolce atto familiare, « Andiamo^... >^ ella dice risolutamente; e il suo occhio semisi)ento si schiude alla vita nova, vibra lampi, le illumina la faccia bianca.... La Duse non è più la Duse innanzi al pubblico, ma la Signora dalle Camelie, o Magda, o Cesarina, o Paula, o Cleopatra; e allora tutte le facoltà intellettuali e sensuali convergono a lei, come a un centro, attratte da quella maschera nuda da contrattazioni, lil)era di impallidire e di arrossire, sfumata a pena di nero sotto li occhi ad avvi- varne lo sguardo morente al chiaror vivido della ribalta, tinta a pena di rosso alle orecchie a dar rilievo ai ujuscoli facciali che si contraggono e si distendono a sua voglia, sotto l' impero delle forze occulte. IsTè la Duse per sé è mai soltanto il personaggio o la Duse, ma l'uno e l'altra contem- poraneamente. A. guidare il tipo creato dal suo ge- nio, a farlo muovere, agire, palpitare a suo grado, la 236 donna non ismarrisce mai la serenità della niente: pianga ella, o rida, sia Margherita Gautbier o Cesarina, Silvia Settàla o ]Magda, ella è sempre attenta a governar l'azione del dramma, rubando parole agli attori inetti, suggerendone ad altri obliosi (come s'è visto in Cleopatra) richiamando alla lor memoria un gesto, un' intonazione, un movimento, tagliando scene improvvisamente, conforme la condizion del teatro, e più tosto dei suoi nervi.... oh, de' suoi nervi sopr' a tutto ! Poveri nervi! Come sarebbe bello recitar com- medie senza alcuna preyjarazione ! Recarsi la sera in teatro, in camerino, e spogliarsi, e vestirsi, e andar su la scena senza veder nessuno, senza par- lare a nessuno, senza ascoltar nessuno, e farsi ap- plaudire, e uscir di teatro come vi è entrata ! ! Un sogno di vita artistica bello, magnifico, ideale, ahimè inattuabile! Eppure ella vuole Miicor più: sfuggire assolu- tamente a tutte le aspre necessità di una com- pagnia di attori. In (jual iikmIo? Kecitando, per eseiupio, scene staccate, con uno o due soltanto: scene di So- 237 tbclc, di Goethe, di Sliakspeare. Dove ! In una sala. In costume ? ]Ma il costume non si addice alla sala. Dunque in teatro! Ma ijercliè allora - direbbe il pubblico - non recitar tutta l'opera? Dunque non scene, non dialoghi, non compagni! E allora ì Becitar sola prose e i)oesie scelte dagli antichi e moderni scrittori di tutto il mondo ! Ah ! Questo sì ! Questo ella può attuar quando voglia !... Xon più couìici, non i^iù teatro, non più le morti continue, non più.... nulla! Sarebbe un solleva- mento! La liberazione dalla schiavitù! Sarebbe un assurgere a vita nova ! Ma essa, air ultimo, noi vorrà, ne son certo: e, volendolo, ci auguriamo tutti che noi possa. Ella deve, senza misericordia, esser condannata dal suo genio e dal fato a trascinar la catena del palco- scenico, sia pur, com' ella dice, infernale ; a morir su la scena di tisi, di veleno, di un colpo di fucile o di rivoltella, pel bene nostro e pel bene dell'arte! E torniamo alla PrincipesHa Giorgio. Codesta sera, dunque, la Duse fu incompara- bilmente grande. La i)rofonda quiete dell'animo 238 hi fc' (lomiuatricc di ogni sua forza, <ìi ogni sum volontà : il pensiero improvviso era iiell' attimo tradotto in azione. Io non so quanto di calore, di sensibilità, di tìnezza, di dignità spiegasse la Desclée, creatrice del rnolo^ acclamata d'allora, tra le più grandi attrici della scena francese; ma so che non potè certo in niun modo, in ninn mo- mento, sopravauzar la gloriosa ISTostra, la quale, se in alcuna parte delle prime scene con Ro- salia e sua madre, la signora Périgny, ebbe mo- menti di dolcezza ineffabile e scatti di rivolta fiera, in tutta la scena finale del primo atto col marito, il Principe di Birac, toccò il sommo del- l' arte. Qual poema di tenerezza, di soavità, dì amore, di passione, quand' ella ha la certezza che il Principe sia libero, che l'amor di Silvania ab- bia preceduto il matrimonio! Quai repenti i)assaggi dall'amor cieco alla cieca fede, e da questa al sospetto, e dal sospetto a una pena interiore, iuefi'abile ! E come questi senti- menti oi)posti si leggevan sul suo n olto trastìgu- rato nell'attimo! (/ome parve struggersi sotto le sue carezze, quando gli disse: 239 Prouìimi nelle tue hraceia. Ho freddo. Oh! quanto sei buono! Avrei dovuto Hospettur da qualche tempo! Tunon eri più lo stesso, tu mi trascuravi! E in prin- cipio sembrò che tu mi amassi tanto.... In principio! Ricordi f Egli è eh' io t' anio così.... da creder ciecamente a tutto ciò che ini dici.... Dimmi che mi ami!... Come ti amo! Ah! vorrei eh' ella entrasse in que- sto momento ! E il passaggio immediato dalla felicità al tor- mento nella cliinsa dell' atto ? Codesta volta il pubblico mi parve andar coli' entusiasmo assai più oltre che ogni sera d' avanti. Fu un vero delirio ! Il secondo atto è tutto di azione, di contro- scene, di a parte.... Un atto, in cui l'attrice, a riuscir ben efBcace, dee mostrar con la perfezione 240 del (/iliaco facciali' tutte le battaglie interiori : il vero ed esclusivo campo adunque della Buse. Come nel suo conversar col Conte di Terremonde, lo sciagurato marito della rivale, le si vedeva il pensiero correre altrove! E quando lo spionag- gio incessante, tormentoso è seguito alla line dalla scoi)erta di un cenno, di una parola dei due amanti, qual metamorfosi non subì la sua maschera! Da qual contrazione non fu alterato ogni suo lineamento! Ormai non v'hanno più dubbj ! La ISIarchesa di Périgny svela il terrilnle vero. Il Principe ha preso dal notaio di famiglia, Galanson, due milioni, e parte il domani con l'amante!... Innamorata, gelosa, tradita, oltrag- giata, derisa, non lui riHessioui, ragioni, paure! Si leva di scatto, e va a Silvania, e la scaccia ! Oh ! quel breve dialogo incalzante ! che prodi- gio di violenza ! Che assalto formidabile, di sor- presa, insostenibile ! ! E che trionfo rapido e immediato ! S. Yattme! — Che Imi detto f 241 S. Ho detto: Yattene! Vattene di qui, snU' istante. Io ti scaccio di casa mia : non capisci ì — Perchè f S. Perchè tu sei V amante di mio marito, perchè hai passato la scorsa notte con lui, perchè tu vieni in casa mia a sfidarmi, a ruharmi la felicità, la vita, l' anima, perchè ti odio e ti disprezzo, perchè tu sei V ultima delle femmine perdute!... Yattene senza dire una parola, senza fare un cenno, o io f insulto puhhlicamente, e ti scaccio dinanzi a tutti. — Sia ; addio !... — Dammi retta: serha tutto ciò per te.... è pia pru- dente. Non son io quella che mio marito uc- ciderà. 8. Yattene!... E la scena seguente, l'ultima dell'atto, col ma- rito di Silvania! Severina è fuor di sé, non si regge piii in piedi, ha già pregato la madre di accompagnar lei i convitati! È sola! In un at- 16 242 timo le passano ancora davanti agli occhi il tra- dimento del Principe, le nuove promesse di fe- deltà, il nuovo oltraggio, il nauseabondo cinismo dell'oltraggio.... a lei, tutta piena di lui, sola- mente di lui !... Ciò è atroce ! Una donna che ami così, naturalmente, perdona.... Questo mo- mento del secondo atto non è che un momento di transizione.... Forse nell' accesso dell' esalta- zione febbrile, il dèmone della vendetta può af- ferrarla, e suggerirle un delitto.... Ma l'amore, l'eterno amore piglia il di soi)ra! Dopo un istante di esitazione dolorosa, di quegl' istanti, in cui un cumulo di imagini più varie vi passan nella mente, e in cui vivete cent'anni, al « il suo nomef » ruggito dal Conte, fa seguire quel famoso Cer- cate ! del dominio, oggimai, della storia teatrale, e che nel fiioco e nella intonazione della Duse è il più ampio e preciso couimeuto del riposto pensiero dell' autore. Col secondo atto iìnisce il dramma, o, per dir meglio, la intensità del dramma. Augusto Vitu in un ingegnoso studio di critica, facendosi eco della moltitudine, ne aveva condannato la solu- 243 zioue; Alessandro Dumas, in una delle sue più smaglianti ilifese, aveva tentato di salvarla: in- darno ! Io non so se la soluzione sia logica o no; o meglio: non vi l)ado più che tanto. Al- l' autore è piaciuto di risolvere in un tal modo l)iù tosto che in un altro il suo problema ; e ciò che veramente mi par poco logico, è la pretesa d'imporre all'uomo d'arte il cammino da essere seguito. Kon già dunque lo scioglimento io credo errato, ma sì tutto 1' atto terzo in una vacuità di azione, di lìassione, di brio.... Xon una scena, dirò, simpatica. Non avendo più importanza la cesellata figura di Severina, attenuante in faccia al pubblico il buon senso e 1' atfetto volgari di sua madre, e il cinismo più che volgare di suo marito, ne acquistan essi, mostrati a nudo, una maggiore di tedio, di sconvolgimento, di ribrezzo. Anche la scena di Vittore, il cameriere che mer- canteggia ogni suo rivehimento, accresce repu- gnanza all' atto mingherlino, miserrimo, tirato co' denti per arrivare alla scena ultima tra gli sposi, e alla chiusa inaspettata dell'uccisione del futuro amante di Silvania, il signor Di Fondette, 244 vittiiiia inconsciente, « l'olocausto — dice Du- mas — dì cui si contenta il Dio della tragedia. » E nullameno la Duse in quell'ultima scena, ebbe slanci siffatti di passione, quel suo bacio per tratte- nere il prìncipe dall'andare incontro a morte ine- vitabile fu tal poema di grazia e di dignità, che il misero atto assunse proporzioni gigantesche, acquistando innanzi al j)ubblico in delirio, tren- t'anni dopo la sua prima apparita, l' importanza di un capolavoro. Da Budapest siam partiti il 3 di novembre per alla volta di Breslavia, la capitale della Slesia, città prussiana e borghese per eccellenza, che dopo la grandiosità di Berlino, l' ibridismo di Bnkarest, la sontuosità di Budai)est ci ha servito di riposo, e diciamo anche di uggioso riposo. Per buona sorte la dimora vi è stata breve, e il mag- 246 gior tempo tibbiiim passato a veder inonunieuti, de' quali aiiclie qui, come a Cracovia, prime le chiese, benché di quelle assai meuo importanti. Il 4 (sabato) si recitò La Signora dalie Camelie dinanzi a un pubblico stipato. Il successo ne fu enorme, e benché hi Duse non apparisse nel ])ieno delle sue facoltà, si che dopo il quart'atto nel- l' avviarsi al camerino mise tacita una mano sulla spalla di mia moglie, con tale atto di lassezza da metter pena, dandole poi una stretta eloquente, che voleva dire: Non ne jìosso i)iii, fu, terminato il dramma, acclamata ben cinque volte. Il di dopo, all' uscir dalla chiesa universitaria, s' ebbe la ^ entura di assistere ai preparativi della solenne commemorazione di mi Dottor di filo- logia. Facean ufficio di cerimonieri alcuni stu- denti in ricchissimo costume antico, che molto cortesemente ci lasciaron entrar nell'aula, dalla ({uale tuttavia uscimmo poco dopo, che, tutta parata a nero, accresceva alla solennità una me- stizia profondissima. Andammo, il giorno, al Teatro della Città (an- che Breslavia ha una Compagnia stabile ma che 247 non le invidio), ove si rappresentava Un Bicchier d'acqua, di 8cribe. Ohe orrore! che orrore! che orrore ! Le volgarità di quel Bolingbroke, di quella Duchessa, di quel Masham! Una recitazione di- lavata, sciatta e tuttavia pretenzionosa nella re- boante sua vacuità. Ma in mezzo a quella mise- ria, un fiorellino in boccio, pieno di grazia e di soavità ; una Eegina, quale io non aveva mai vista né udita da noi; debole, sottomessa, ingenua e innamorata; una giovane intelligente e spontanea, con una dizione impeccabile per fine musicalità : Elsa Wertheim. Volli artisticamente conoscerla più da presso, e le domandai della Duse. Così mi rispose: « dirle il parer mio su la signora Duse ? Sarei ben presunziosa se l' osassi. La Margherita di questa artista fu per me una rivelazione. Vo- ler notomizzare la sua recitazione sarebbe profa- narla.... » Nella semplicità e modestia e acutezza del suo dire, trovai veramente la mia Eegina. La sera, allo stesso teatro, si rappresentò Mignon con tal chiasso da sbalordire: ma, tranne le due donne. 248 a pena sufficienti, ci sembrò un assai misero in- sieme. La Duse recitò il G la Cleoimtra, con teatro affollatissimo. Le dolevano i denti, e, meschina!, faceva pietà. Partiti alle due e mezzo del martedì, arrivanuiio a Menna alle nove e mezzo, aspettati alla sta- zione dai coniugi Maddalena, carissimi amici, dall'anima italianissima entrambi, innamorati della Grandezza nostra, e goldoniano lui de' più fervidi, clic le oi)ere del gran comico va sottil- mente illustrando. Ahimè! La stagione di Vienna, mentre segnò il sommo della gloria di Elecmora Duse, fu per lei delle più sciagurate; che, op- X3ressa da una infreddatiu'a che minacciò a più riprese di mutarsi in bronchite, dovè più giorni rimaner sigillata in casa tra il letto e il lettuc- cio. Xelle prime rappresentazioni ella aveva già soggiogato il i»ul)blico i)er modo che oramai il suo nome era su le bocche di tutti, come di luia indefinibile maga: Vienna si richiamò jilln me- moria di essere stata lei la prima capitale fora- stiern ad affeniìav la rinomanza artistica della 249 Duse, e fu orgogliosa del suo giusto giudicio. T giornali più autorevoli ebber inui di lode oltre l' imagiiuizioue; e vi fu chi scrisse ch'ella po- trebbe andar sola su la- scena e dilettare e com- muovere con la parola improvvisa tutta una mol- titudine intenta, rinnovando i trionfi di Garrick, il quale, improvvisato con un pezzo di legno tra le braccia la scena della morte di un bimbo, fece piangere i piii scettici. Le genti affollate alla porta del teatro, dojx) la rappresentazione, aspettavan sommesse, ansiose l'uscita del mira- colo novo.... La prima recita non potei godere del gran trionfo, che m' intravvenne di dover là per là sostener la parte del Conte di Criray nella Sk/nora dalle Caìiielie. Ed ecco come : l' artista che vi so- steneva la parte di Varville, mandò a dire, al- l' atto di andare in scena, eh' era indisposto. Que- gli che recitava la parte del Conte sostituì, ad agevolar la cosa, l'ammalato, e a me toccò di sostituir lui in quell'unica scena con la Duse; e cotesta sera non ebbi davvero ne modo, uè tempo di occuparmi dell' arte sua, che, a giudicar dal- 250 l'entusiasmo, do vett' esser più straordinaria clie altrove mai. Per seconda rappresentazione si doveva recitar la Cleopatra ; ma fu rimandata, e si sarebbe reci- tata invece la Gioconda. Meglio così ! Mi levavo un gran peso dal petto! Non si potè provare in teatro, e ci si recò tutti all' Hotel Mctoria, ove abitava la Duse, un albergo fuori dal centro, direi quasi appartato, assai modesto e tranquillo. Mi sembrò che l'esecuzione di Vienna (l'il) avesse acquistato da quella di Bukarest assai più di snellezza e di colorito.... Certo, il successo ne fu pieno, chiaro, deciso: ogni bellezza dell'opera fu salutata con segni alti di ammirazione profonda, ogni cesellatura della Duse, accolta con grida di entusiasmo. Il 13 si recitò Casa Paterna, e la Duse vi destò fanatismo, se bene lo stato suo di salute, la voce arrocata, la respirazione faticosa non le cx)nsen- tissero di lasciarsi andar tutta agl'impeti della sua anima di fuoco. Ahimè! Dopo Cam Patema abbiamo nelle rap- presentazioni della Duse una triste lacuna di ben 251 diciassette giorni! Il freddo intenso e rapido, il vento indemoniato che ci ricordava i pungenti tramontani di Firenze, congiurarono alla sua gua- rigione sollecita. S'andava a domandar notizie, e non se n'aveva di sorta: le tìde cameriere e il segretario fido ne sapevan quanto noi ! Quale di essi avrebbe osato discorrerle! E la capivo e la compativo ! Nella sopreccitazione de' nervi ca- gionata dall'inazione, dall'impazienza, dagli osta- coli, ella do ventava di umor nero a segno, che aborriva tal volta non pur dal conversare, non da un semplice scambio di parole, ma sì da una parola proferita da qualsivoglia persona.... E tut- tavia !... Se fosser qui riferite le strampalerie che si dissero e stami^arono sul suo tenor tli vita, durante la malattia, qual mai rigido uomo si ter- rebbe dal più smodato riso?!... Le signore, a gara, affascinate, commosse, come in delirio, le mandavan all' albergo, quelle i tìori, queste le frutta. Mi balza tra gli altri nella mente il nome di una baronessa Somaruga; di altra ben ricordo che, lievemente ammalatasi, e cliente del dottor Fròsch], il medico delki Duse, lo volle a sé, anche dopo guarita, ogni giorno, finché durò la malattia di questa, all' intento di sentir dalh» viva fonte le notizie delF amata inferma. ì 253 111 tutto quel lasso di tempo, mi occupai ua- turalmeute de' Teatri di Vienna, desiderando di averne un' idea ben chiara e netta. Anni a dietro ebbi già la ventura di sentire, all'antica Burg, Il Bibliotecario di Moser, dall'incomparabile Thimig; e pili tardi ancora, alla nuova Burg, Il Padrone dclli' ferriere, dal vecchio 8onneiithal, artista cor- retto, intelligente e un po', questa l'impression su- l)itanea, imitatore, nell' ondeggiar musicale della voce, di Tommaso Salvini. Ma restava ben altro da vedere e da sentire! Baiimeister, Kainz, Le- winsky, la Hohenfels, la Dirkens, la Petri.... E poi le favole del Eaimund, poi La Canzone della Cam- pana di Schiller in azione, x>oi il Kainz lettore.... Il Baumeister, un artista, dicono, formidabile, e lì' è prova il teatro sempre stipato quand' egli vi reciti, non i)otei sentirlo che nella parte del Si- gnor Dros.se in Fritzelien àe'' Morituri di Suder- niann ; e, a dir vero, iii' attendevo assai più dalla Celebrità. j^eUa breve scena, in cui suo figlio ri- vela il duello imminente e la ragione di esso, mi sembrò, per quanto vecchio soldato a riposo, d'una freddezza, che toccava quasi l' indifferenza. Non 254 COSÌ il KaÌDz. .vii ! Lui sì, fu grande! Il solo ve- ramente grande, e anche la sola, quella, delle tre parti, in cui mi si mostrasse veramente grande. Forse nella terza parte, L'eterno Mascolino, a giudicar bene sì del personaggio di pittore incar- nato da Kainz, sì di tutto il lavoro, « un' opera di cesello - mi diceva la signora Hernst, scrittrice elettissima - in cui ogni frase, ogni parola è uno scoppiettìo, uno scintillìo così vivo e giocondo » bisognava esser dentro alle segrete bellezze della lingua magnifica. Nella prima, Teja, se ben desse la riproduzione perfetta di un tipo sehaggio, per quanto Ee, mi parve si lasciasse più volte a certe note di testa alte, stridenti, inattese che mette- van nella intonazion generale certi sbalzi di co- lorito inefficaci e pericolosi. Codesto dell'urlare è forse un de' difetti cai)itali del giovane ga- gliardo, il compagno fidato del misero Monarca di Baviera, il prediletto dalle signore di Vienna: lo sentii leggere nella sala massima dell'Associa- zione musicale, e gli urli fùr tali da metter paura; e, se ne eccettui la Eleonora di Biirger, la strana ballata, in cui espresse mirabilmente con le va- 255 rictà musicali della voce l' imperante armonia imitativa del testo, non mi parve sì grande come nel Fritscìien, nfficialetto azzimato, leggero, die guarda in faccia alla morte con cotal simulazione di spensieratezza, da metter i brividi. Ho ancor bene in mente il ruolo eh' egli assegna al suo si- garo. Nel modo di tenerlo tra le dita, di api^res- sarlo alla bocca, di morderlo, di aspirarne il fumo e cacciarlo poi dalla bocca aperta, a ondate larghe e Igiene.... con quegli occhietti serrati, come s' ei non fosse più, non si sentisse più di questa terra, egli si palesò attore d' intelligenza squisita, e di più squisita esecuzione. E il saluto ultimo alla mamma inconsapevole ? Quanto affetto nella stessa semplicità ! Ohe piena di sentimento ! E sopr' a tutto : quale sincerità ! !.... Un de' più grandi miei desideri fu di vedere e sentire alla Burg La Canzone della Campana di Federigo Schiller, ben nota anche tra noi da chi non possegga la lingua tedesca, nel poetico vol- garizzamento di Andrea Maffei. La Canzone della Campana in azione!... che voleva direi che avreb- ber fatto ? La stessa ballata ridotta a dialogo ? o 256 con qualche aggiimtji di parole? o tutta una pa- rafrasi ? Il programma diceva : « illustrata con quadii viventi. Musica di Lindpaintner. » Andai due volte per non lasciarmi vincer dalla prima triste impressione, che fu di disgusto.... Ahimè ! La seconda volta il disgusto fu maggiore: che mi trovavo al conspetto di una vera meschinità. Non so dire quante imagini spiacevoli mi bal- zassero allor nella mente ! Quando all'alzar della tela vidi su la scena Lewinsky in veste di Mastro fabbro ferraio, la Bleibtreu di Padrona, Eeimers di vecchio came- rata, e altri artieri, e servi....; e dopo i quachi del Primo Incontro e deW Antico Tempo, alle pa- role (mi valgo della versione del Maiìei) Poiché saluterà d' un suon giocondo il caro fanciullin ciie 1' orme prime sul limitar del mondo in braccio al sonno imprime, mentre dell' avvenir la nube oscura le serene gli cojnc e torbid" ore, e d(d nuitcrno amore al suo roseo mattiu ve"lia la cura 257 apparve nello sfondo il quadro della Felicità do- mestica^ raffigurato a siion d' orchestra da un bim- betto in fasce, cullato e carezzato dalla madre sollecita, io pensai subito, né so perchè, a quelle Passioni di Cristo del nostro contado in temilo di fiera, in cui non so i3Ìù qual personaggio si dà ad annunziare il quadro vivente, sclamando e Cristo cadde per la seconda volta, e mettendo nell'ultime parole una maggior forza di espres- sione, che è come il tue nel segnale ultimo delle corse tra' ragazzi, o nelP aggiudicazion d' un og- getto delle vendite per la maggior offerta. Ogni personaggio assume una posa grottesca di dolore o di disperazione, e al suono di una polka o ma- zurka, tratta da due povere mani di su una po- vera spinetta, che ricorda sovente lo scacciai3en- sieri, la piattaforma gira in tondo, come una giostra, e mostra le varie figurazioni ai contadini stupefatti. La musica del Lindpaintner valeva certo assai più e meglio di quella polka o ma- zurka straziata e straziante, i quadri vi eran certo composti con senso d' arte, e disposti nel più ac- concio modo che mai; ma le cose, che il pensiero 17 258 s'era andate lìugeudo oltre il confine dell' imagi- nazione, li.ssate in quei quadri piccoletti, ijarxero anch'esse rimpiccolite, immiserite....; la fantasia risvegliata, accesa, popolata alla lettura della can- zone imaginosa, da visioni indefinite e indefini- bili, naufragò, vinta da quel ])overo utììcio dogli occhi, in un mare di disillusioni, come all'alle- stimento scenico di certi poemi shakspeariani, in cui le moltitudini de' soldati, le onde di popolo, i cortei funebri, le marcie trionfali, son raffigurati da quindici o venti sconce comparse. Né l'arte del Lewinsky nella Canzone stessa, uè la rappresen- tazione veramente magnifica dei frannuenti del Denwtrio pur di Schiller che la precedettero, val- sero ad attenuare il senso di avversione che mi tenne tutta la sera. MigUor sorte s' ebbe nel mio qualsivoglia giu- dicio la favola del Fif/liuol rrodUjo al Uaimnnd Tlicater, composizione ibrida, che fa pensare alle fiabe del Gozzi, in quanto specialmente riguardi l'orditura materiale dell'opera, che e una mesco- lanza di recitazione e di canto, di jjrosa e di versi, di macchine e allegorie e fantasmagorie.... Ma 259 qui, il concetto foiidanìeiitale e lo svolgimento a parte a parte, sono de' più morali : il vizio vi è pnnito e la virtù trionfa. Ne è da credere che vi abbondino, come in lavori di simil fatta, pre- dicazioni più da pnlpito che da teatro : la mo- rale anzi scaturisce intera e limpida dallo svi- luppo de' casi; e l'elemento comico vi è in così larga parte, che niente mi sembrò jjìù sano e dilettevole. Gli artisti in genere, e quelli co- mici in ispecie, furon mirabilissimi tutti. Una scena di famiglia in casa del falegname, con padre, madre, quattro biml)i e un servo, fu, tra l'altre, un vero miracolo di giocondità e di misura. Sentii la Petri allo stesso teatro in una com- media inglese. Dolly del Oristiernson, scipita e misera, fuorché nel primo atto, che è uno studio di ambiente a bastanza vivo: mi sembrò attrice vera e spigliata, ma non tale da levarsi di tra '1 comune. Migliore assai mi sembrò la Dirkeus, al- l'1. e E. Teatro privato della Josef, stadt, che nel- 1' ^''Icli Un so frei! " {La daiìie de clies Maxim), mo- strò qualità rare di verità e di gajezza e di finezza... 260 Tutti i trovati di quel capriccio pazzesco furon resi con vivezza e moderazione tali, da comparar l'av- venente artista alle maggiori della specie. Ma di tutte più egregia mi apparì, senza dubbio, la ITohenfels, l'eletta della Burf/^ che sentii nella piccola, graziosa parte di BaìthUda wq'' Morituri, e in quella assai forte di protagonista neirA//»r.st' Jordan, commedia novissima in quattro atti di Giorgio Hirsclifeld...: uno studio profondo di am- biente e di caratteri, ma assai bizzarro e peri- coloso nell'esecuzione. Basti dire che tra il primo e il second' atto corron otto ((uni, tra il secondo e il terzo nore, e tra il terzo e il quarto quattor- dlci. Tuttavia l'insieme fu perfetto, (jual certo non è dato avere fuor che in Compagnie stabili. Quei viali di giardino, popolati di bimbi che cin- guettano, saltano e ridono con disinvoltura e tìnezza e armonia fuor del x)ossibile!... Oh! (incili soprattutto! Il Sonneuthal nella parte di Adolf Krebs, in una scena con la nipote Agnese, toccò il sommo della commozione con tal sobrietà e ca- stigatezza, da stupire. Non così, forse, mi sembrò il Eeimers nel Jordan, una parte difìicilissima che 261 si trasforma coli' andar dell' azione, diventando, alla tìne, di un hcn rirentc^ semplice, vanitoso, az- zimato, lisciato, ripicchiato.... La Holienfels, co- testa sera, vinse una gran prova, incarnando con molto e squisito sapere il carattere generale, e recitando mediocremente in taluni punti, quelli della violenza, bene in tal altri, quelli del senti- mento, e in tal altri ancora, quelli dell'ingenuità e della grazia, ottimamente. Forse il mediocre della violenza dipende dal mancarle, come in ge- nere alle sue consorelle, quel viso, quegli occhi, quei muscoli che si muovono a ogni moto del- l'anima; forse il paragone costante che mi veniva fatto con la Duse, la metteva più sotto di quel che meritasse!... Ma nel fervore della disputa, nell' invettiva, nel furore, mi sembrò che partis- sero suoni e strappi gutturali, fastidiosi, urla smodate e stonate da una faccia tacita, immota, qual da una maschera soprapposta. E ciò notai nella 8orma, artista quanto mai sincera, e ciò notai più o meno in tutte, compresa pur Sarah Bernhardt, che se può dar gli atteggiamenti che vuole al suo volto, essi, appunto perchè vuole. 262 nppiiioii senipiv mossi dal iiiamlc studio, non mai dal seutimeuto; tanto da fare scrivere il 14 set- tembre del '99 da Ziuigo al Natiomd f^ume di La Ohaux-de-Fonds : Abbiam sentito due artiste celebri^ due rivali: la Duse e Sarah Bernhardt, che han recitato con pochi {fiorili d' intervallo. La I)i(se è assolutamente ima grande maliarda: ella recita di tal modo, sì natu- rale, da ecclissar Sarah, che dopo di lei, è parsa affettata e teatrale. E la gran naturalezza è palesata ai)punto dalla grande armonia, dalla corrispondenza immediata clie è tra la parola e quell'espressione fisica, alla quale ninna artista mai Chi avrebbe pensato cbe a questo i)unto inter- romperei l'afférmazione assoluta, per dar luogo a una eccezione, che son ito a pescar tanto lon- tano da noi ? Quando a La Cliaux-de-Fonds, l'agosto del- l'anno passato, mi capitò sotto gli occhi un ar- 263 tieolo del Journal, firmato Claretie, su 8ada Yacco, il vederla e sentirla diventò il priucipal fine della mia andata all'Esposizione di Parigi. La Duse giapponese ! Un conjugio di parole, che nella mia imaginazione non avrebbe mai potuto darsi. Non voleva già dire eh' essa era la prima del suo paese, dacché essa vi era anche unica, le leggi del Giappone vietando alle donne di ap- parir su la scena. Fu il caso che rivelò il suo genio, mercè il quale potè la Regina Vittoria ottener dal Mikado eh' ella recitasse a Tokio, pri- ma fra le donne giapponesi, nella Compagnia di alunni maschi diretta e condotta da Kawakami, suo marito. V era dunque davvero fra le due attrici alcun segno di avvicinamento I In che! « Mai artista fra le più illustri - aveva scritto alcuno - seppe morir su la scena con j)iù atter- rente verità! Giammai la scienza del teatro per- venne a tanta potenza!... Sbalordisce!!» Sada Yacco medesima aveva detto: « avrei voluto anche veder la Duse, di cui mi lian molto 264 parlato, e il modo di morire somiglia, dicon, sì stranamente al mio!...» Mouuet-Snlly, l'invincibile Edipo Re, alla scena di furore della Glieslia con la rivale, e alla sna convulsiva agonia, era rimasto soggiogato a se- gno da andar ripetendo a' suoi compagni con ammirazione, con esaltazione : « Avete veduto Sada Yacco ì — Se vedeste Sada Tacco ! — An- date a vedere Sada Yacco ! » 265 La prima sera, a Parigi, ci trovammo, nella Rue de Paris, davanti al minuscolo teatro della Loje Fuller. Leggere il nome di Sada Yacco, prendere i biglietti, ed entrare fn un attimo. Trepidavo. La brama di vedere e giudicar da me il portento in- concepibile, fece sembrar lunghe ore i pochi mi- nuti che precedetter l' alzarsi del sipario. Ed ecco il segnale! Fui preso da una commozione pro- fonda Nagoya {Kawalìami), cavaliere di bel nome, entra nel quartier delle Gheshe, e s' innamora perdutamente della celebre Katsoueaghi {Sada Yacco). Banza {Tsusala) che pur ama la Ghesha, e non ne è corrisposto, è preso da furor geloso contro il rivale. Katsouraghi sorprende e separa i duellanti. Questo il primo brevissimo atto. L' ajjparizione di Sada Yacco, molleggiante su gli enormi zoccoli, sorridente di un sorriso pieno di soavità melanconica, fu salutata da un lungo e fragoroso applauso. Ella non proferì durante 266 l'atto che i)Oche parole: parole!.. Fuion piccoli gl'idi acuti, che mi ricordavan quelli di certe sci- miette del Para:... quei gridi, forse, i quali sug- gerirono a non so più quale attrice di Parigi la definizione: un vezzoso animaletto, che te' pianger l'attrice giapponese, e che il Fouquier tentò di addolcire con queste parole: «No, signora, non piangete. Egli è un elogio. L'arte giapponese, di fatti, che è mai altro da un'arte del più fine naturalmnof E voi ne siete la più delicata e conosciuta espressione. » Calato il sipario, io mi diedi a guardar muto mia moglie d' un cotal atto di stupefazione, ch'ella subito capì, dando in una risata, che non potè con- tenere. « 8ada Yacco!... La Duse!... Mounet-8ully!... Olaretie!... Venti franchi una sedia!... 11 teatro stipato!... Due rappresentazioni ogni sera!... La ressa enorme alla porta del teatro!...» Pensieri e nomi che si gittaron tutt' insieme nella mia mente, e mi fccer domandare a me stesso: «Ma sono ammattiti f 0 soii matto io!fy> 267 Un giovane che ni' era allato lesse nel mio volto la sorpresa, e sorrise. Avventurai la domanda: — Ma è davvero uno scherzo, o una trap- pola, (>..., — Mi troncò le parole a mezzo con uno sguardo e un nuovo sorriso, pieni di entusiasmo, che mi l)ar vero dire : « vedrete, vedrete ! abbiate pazienza ! » — 3[a proprio! — Proprio. — Grande? — Immensa. — Ma.... — Xiente ! Vedrete ! Non si può descrivere. È la quarta volta che la vedo : ne son sempre più sbalordito. — Ed eccoci al second'atto. Nag'oya è promesso sposo di OKiHi:NrÉ {TaM- nami), vezzosissima fanciulla, ch'egli abbandona per Katsouraghi. Orihimé, alla disperazione, si dà alla ricerca dell' in naiuorato; e, trovatolo, si cela con lui, a evitar le ]3ersecuzioni della gelosa Ghe- sha in un temjjio, in cui la legge buddista vieta 268 1' entrata alle donne. La Glieslia ricorre allo stra- tagemma di olì'rirsi qua! danzatrice a' Sacerdoti per propiziarsi il Dio.... E danza ! Attascinati dal- l' arte e dalle grazie della Gheslia, i sacerdoti le concedon d'entrare il tempio e ivi danzar con essi. Ahimè! Nel tempio è scoperta la coi)])ia in- namorata. Katsouraghi in un accesso di linore uccide Orihimé a colpi di martello, poscia, il cor lacerato, spira ella stessa frale braccia dell'amante. Della danza di Sada Yacco a piedi nudi, fuor da ogni senso di poesia nella forma piatta e larga, negli atteggiamenti antiestetici con le punte in dentro, era da rilevar senza dubbio una cotale agilità, la gTazia incantevole, il sorriso voluttuoso. Ma quando, a i^ena entrata nel tempio, e scorti gl'innamorati, manda dall'imo petto un urlo stra- ziante; e col martello tra le mani, i cai)elli spar- nazzati, irti su la fronte, ricompar su la scena,... chi può dir più chi fosse, e che cosa fosse, e che cosa facesse ! Correte pur con la sbrigliata fantasia alla più terrifica imagine di Erinne !... Mettetevi da- vanti agli occhi del pensiero tutte le contrazioni a 271 cui può lasciarsi una faccia umana, e non avrete che una pallida idea di codesta verità tremenda e orrenda, costretta, e qui è la maggior grandezza, ne' più puri confini dell'arte!!! Quell'occhio che si va tutto appannando, quella pupilla che si perde, quelle labbra che han battiti violenti e rapidi nella stretta ultima della convulsione, quelle pul- sazioni alle tempia, quei nervi del collo tesi come corde di arco, quelle mani rigide, ischeletrite.... e soprattutto, poi, spirata l' anima in un ultimo tratto, quei nervi che a poco a poco si disten- dono, quelle braccia e quelle mani che ammor- bidiscono, e lei che si lascia andar lentamente, direi, soavemente, a terra.... Oh! non qui certo la fantasia galoi)pante naufragò, come pel canto schilleriano, nella triste disillusione!! 11 dì dopo, tutto pieno della transflgurata, corsi in cerca di fotografie, che mi dessero un' idea qua- lunque della sua espressione. In vano ! Avventurai allora una lettera a lei medesima, la quale, solle- cita, m' inviò due ritratti arricchiti della sua firma, e delle parole « With CompUment to Prof. Luigi Rasi from Madame Sada Yacco - Oct. 9, 1900 » che qui k riproduco nell'ori opinale. Mn come ri- I costruir su quelle imagiiii rimanine di ' quella donna ? Pensai allora ra Byron di Nuova York, clic iù volte e in ogni punto no- ^ Ar^ tevole del dramma aveva ri- ^^ ^\ tratta la celebrità asiatica; e J col mezzo di un'amica gentile, F ^ ^^ Miss Thomson, valorosa mae- I ^^ ' stra di arte del teatro, m' ebbi ^ /\ I alcuni quadri, di cui metto qui ^ j r le parti più adatte all' uopo, _ ^ \^y^ maclie,purtro])po, nel ritocco X^ . del fotografo, non son più clic i^Tj ^yT ^;^7f ^in misero accenno alla gi'an- .^yC ^'''^t'T. (^^zza di quella espressione. 1^1 / Ho detto esjn'essioìie, e nien- A» te di più ! Che il signor Kawa- ^ — ^ Tkami col soccorso di Sada Yacco e della liegina d'Inghilterra abbia segnato una ^^ data di rivoluzione nella storia del teatro ^■^^ giapponese, è fuor di dubbio ; che tutti i suoi alunni, TSUSAKA,KlMISABRO, FuJITA,WaDA, TaKANAMI, 273 FuiJKAWA, Yamamoto, Nogaki, rappresentino La Glieslm e il Cavaliere con la più artistica na- turalezza.... molto giajyponese è anche certo; clie l'intellettuale Imperatrice abbia già fatto tra- durre dai maggiori scrittori giapponesi Amleto^ Edipo, Re Lear, La Sposa di Messina, ecc., ecc., è assai probabile; ma da questo al veder noi medio- cremente recitati con quegli artisti i capolavori europei ci corre:... a meno che non sian essi ri- dotti e trasformati in modo che la parola vi abbia ufficio secondario, tenuissimo. 18 274 E toruiamo a \'ieima. " Gli studenti italiani m' invitarono a dire e leg- gere una sera nel loro Ciicolo alcune delle no- stre poesie e prose. Accettai con orgoglio, e l'Ac- cademia si tenne giovedì, 23, alle 7 ' 2 nella Sala Ehrhar davanti a una moltitudine enorme. Dissi La Poesia e I due fanciuHi di Pascoli, Mors e Congedo di Carducci, La Cicala di D'Annunzio, e il mio Biso ; lessi 1/ eredità di Vermutte di Fu- cini, e Jja Fontana (da Jje Vergini delle rocre) di D' Annunzio Non dimenticherò certo la indimenticabile cor- dialità, la fraternità, l'amore, che regnaron tutta ({uell'ora in tutta quella gente della nostra gente! Anche fra i ricordi migliori, debbo metter la visita dei Musei del Municipio, e particolarmente della stanza da letto e della biblioteca di Fran- cesco Grillparzer, il lirico autor deW Avola ^ della Saffo e di Kadetsliy.... Vidi già le stanze di Goethe a Francoforte, di Schiller a AVeimar, di Durerò a Norimberga, di 3Iozart a Salzburg, di Pietro il Grande a Zalindam ; e con qual gioia vi ag- 275 gi ungessi l;i meuioria di queste del Grilli)arzer, piene, nella lor semplicità, di tanta poesia, non sa])rei ridire ! E la Duse? Il freddo si faceva ognor pifi ])ungente, e il vento intollerabile: ella n'era turbatissima. 8' andava a prender le nuove; ed or si sentiva che sarebbe tornata subito in Italia; ora, che avrebbe recitato due o tre volte al meno. Final- mente, forse le sapeva male di andarsene da Vienna senza j)iù rivedere il suo buon pubblico, risolse di recitar la sera del 30 di novembre con La seconda Mof/lie (The Second Mrs. Taxque- kay) di A. W. Pinero. Ho segnato in caratteri maiuscoli il titolo ori- ginale del lavoro, che non ho mai capita la ra- gion del titolo in volgare La seconda Moglie. La seconda moglie ! ? Ma qui si dice che cosa sia la seconda moglie in genere, mentre là si vien solo a dire che cosa fosse la seconda moglie del si- gnor Tanqueray. 8e non si volle, né pur di questo so rendermi conto, accettar letteralmente il titolo La seconda signora Tanqueray, si j)oteva al meno, 276 pare a me, imitar l'articolo la in una. deteriiii- 11 andò con l' indeterminato una tal seconda mo- glie, e non più, com'ora, invitando il pubblico allo svolgimento di una tesi, che non esiste. Di questa commedia non sono, a dir ^ ero, in- cline a una gran lode. Scritta da un attore d'in- gegno, non vi mancan tutti i lenocinj del me- stiere, atti a sorprendere e vincer la l)uona fede della folla. La naturale repugnanza che ha Elena della matrigna, di cui non conosce allatto il passato, e da cui ha tutte le dolcezze, tutte le lusinghe, tutte le cure di una madre amorosa; il capitano Ardale, antico amante di questa, quan- d'era donna da imprese diguazzante nelle do- vizie.... altrui, ne' piaceri, nell'orgia, che incontra la fanciulla a Londra, e se ne innamora, e si reca al Castello di Aubrey Tanqueray per chiedergliela in moglie; l'incontro con Paula, la rivelazione di questa al marito, le nozze vietate, l'oltraggio d' Elena alla matrigna; tutte situazioni volute, artifìziose, ma che pure lian dato campo all'au- tore di mettere assieme, e di (questo va assai lo- dato, uno splendido carattere di donna complesso 277 e vario, sì da invogliar l' artista più scria a farvi su uno studio d'analisi j)rofondo. La Duse, in questa commedia, non lia tìn qui mostrato un sol momento di quella stanchezza, o di quella irritazione che sogliono indebolire o accendere di soverchio la sua volontà.... Vi si trova sì bene!... Bisogna veder nelle varie sere i muta- menti, ora in questo, ora in quel punto, spon- tanei ed improvvisi.... Bisogna notar qui più che altrove le maniere varie di uscir di scena, tutte così rispondenti a quel che seguirà.... fuori!... E il x)ubblico, in i)iù luoghi scarsissimo, per esservi e commedia e au- tore sconosciuti, dà, qui più che altrove, applausi e segni di ammirazione e di stupore all'artista senza paragone. Vediamo ! Poco dopo che la Duse è entrata, accostatasi alla tavola tuttavia iml)andita, ne prende un gTap- polo d'uva ch'ella mangia con tal delicatezza e aristocrazia di modi, accostando il chicco alla bocca e togliendone il fiòcine che lascia cader sur un piatto con la mano artisticamente com- 278 lK)sta, die non è possibile non avvci-tii-nc e niii- niirarne lo stndio sottile. Al finir della seconda scena, (inand'elln rivela a Tanqneray la sna gelosia per la figliastra, con accenti di ammirazione esagerata a contrattar le maniere di Ini: — È di Eìcna che ti preoccuin e non (lì me. Per te non e e altro che Elena, Elena, santa Elena!, — ed Elena, a pena spirata l'nltinui sillaba del sno nome proferito 1' ultima volta, ri- compar su la scena, la Duse da quella ammira- zione esagerata passa alla più semplice e x)arlatii delle intonazioni con un Eccola qua, immaginato da lei, clic fa di questa i)iccola creazione uno de' migliori momenti della sua rappresentazione. Il secondo atto è per la Duse tutta una mi- niatura. Il famoso discorso che Paula la in sul principio a suo marito: A che è ridotta la mia esistenza!^ La mattina an- dare in lìaese, in carrozza, accompagnala dal groom per dare (ili ordini ai Imtteffai. Poi la coiasione tra te ed Elena. Durante l<( f/iornala un romanzo od nn f/iorn((Ir. Poi il the tra Elena e te. iSe è hel tcìnpo, 279 un' altra lìasaeggiata in carrozza. Dite ore di ere- pìfscolo; una partita a bézigne noidnc, mentre Elena le(/(/c un libro di devozioni in un angolo della camera. Poi.... tu sbadigli, io sbadiglio, Elena sospira.... Poi.... tutti e tre ci alziamo cont&mporaneamente. Buona notte — Buona notte — Buona notte (iinitando lo scoccar di tre baci) Il cielo ti benedica.... Ali!.. è un vero iDoeina di semplicità e di finezza.... Nou so x^ercliè mi è venuto in mente un capriccio di Grieg. Ma dove ella è veramente prodigiosa, per- venendo ad altezze non imaginate, e trasportando nell'ascensione maravigliosa il pubblico di ogni luogo e di ogni specie, si è nella settima scena, quando Paula si trova di fronte a Misstres Cor- tei yon. Questa volta non le mani, come nella scena dell'uva e in altre più, hanno un ruolo importante; ma si direbbe protagonista l'ombrel- lino. Ab ! Ohe deliziosa finezza, che ironia sottile in quel tracciar linee per ogni verso con la punta dell'ombrellino nella rena supposta! E quegli ac- centi, quegli sguardi, quei sogghigni, quel mutar di colore, ora livida di bile, ora fiammante di fu- 280 rore ! ^è in questa scena, e più specialmente nella parte in cui domina l;i ironìa, essa è come al- trove di una scrupolosa fedeltà al testo : entrata profondamente nel carattere del personaggio, ella crea, sottolinea, si muove con intonazioni nuove, con atteggiamenti nuovi, con parole nuove. P. Mrs...J Cile nome hai detto, Aubreyf — Afrs. Cortelìjoìì. P. Cortelyonf... Ali ! d, Cortelyon. — Aìihrey avrebbe dovuto dirvi che Ali<;e Cortelyon e lui sono amici di vecchia data. P. Forse egli me V ha detto. Ma io ho una memoria così disgraziata ! — Voi saj)ete che siamo rìcini. Mrs. Tanquerey f P. Ticini? Davvero?... Non volete sedervi? Vicini? Oh ! Non sapevo ! E come a questo punto ella è grande in (juel suo voltarsi a interrogar comicamente e alterna- mente il marito e la Cortelyon! — Vicinissimi! Anzi;, dalle vostre finestre si vede il tetto della min casa. 281 P. Sì, mi pare di aver osservato un tetto, infatti. Ma voi siete stata assente, forse! Siete appena tornata f — Io f Perchè dite questo f P. Perchè noi siamo qui da più di due mesi, e non mi ricordo di avervi veduta mai. — ed è appunto per ispiegare la mia man- canza, che sono venuta stamane senza molte ce- rimonie. P. Ah, per spiegare.... Benissimo, henissimo! Allora siete stata molto ammalata f Avrei dovuto ca- pirlo prima. — Ammalata f P. 3Ia sì, avete un aspetto molto ahhattuto. Eh! Noi povere donne quando siamo malate lo portiamo scritto in faccia. — Mia cara Paula, Mrs. Cortelyon è il ritratto della salute. — Io non mi sono mai sentita così hene come adesso. P. Ho detto qualcosa che non dovevo dire? Aubrey, di' a Mrs. Cortelyon che sono una sciocche- rella. 282 E quando vieii poi a partecipare alla l)at taglia anche Elena, il tuono beffardo di Pania diventa indemoniato, lo sguardo vibra lampi! Che ne pensate? Dobbiamo lìerdona re a Mrs. Cor- telyon di averci dimenticate per due lunglii mesi f Proferite queste parole, ella interroga con ansia feroce ogni più lieve moto di Elena, e i>resente già la risposta che le sarà nel cuore come un coltello tagliente. E quando Elena si slancia com- mossa al collo della Cortelyon, e le dà nn bacio. Pania, sospinta da furor geloso, proferisce un Elena con moto sì violento, con volto sì acceso, che par voglia qnel bacio strappar dalla bocca di Mrs. Cortelyon. E quando Elena risolve di andar con questa, bisogna sentir la Duse, dopo la breve tenzone, quale accento d'ira contenuta adopera nel risi)ondere: Hta bene, e cosa fatta ! quando colete che Elena sia pronta* Ma tutto lo sdegno qui rattenuto a forza, nella scena che segue tra Paula e Tanqneray lia la sna più chiara esplosione.... la Duse trova ])iù (|ui che altrove le antiche sue intonazioni aperte, sincere 283 (li anima libello, per passar poi nella scena set- tima del terzo atto con Elena ad abbandoni di tenerezza ineftabile, rotti a qnando a qnando da- gli scatti inìprovvisi della gelosia insistente. Qui cade oi)portuno di fare nn' osservazione. Quando nella scena ottava del terzo atto Elena presenta il capitano Ardale a Paula, il movimento di stupore di questa al cospetto della figlia mi par troppo accentuato e prolungato. Il tuono col quale ella dice a Elena, sillabando, strascicando le parole, come se non le potessero uscir di bocca che smozzicate: Il Capitano Ardale ed io ci cono- sciamo, ci siamo incontrati a Londra. Capitano, adesso, mvvero f non può a meno di far subito concepire sospetti inqualificabili uell' anima iu- consciente, ma non i stupida, di Elena. Ed eccoci alla scena che segue, l'ultima del terzo atto, con Ardale, nella quale, proferita a fior di labbro, ella è di una forza terribile,.... esprimendo il conflitto interiore con una mobi- lità di fisionomia stupefacente ; e assurgendo poi al sommo, nelle parole ultime e nelP ultima azione. 284 P. Io SO che delibo dir tutto a mio marito. — Oh no! questo no! questo no! P. Che vigliacco! — Se l'osaste! Badate hene! Se l'osaste! P. Ehbene! die faresti taf — Mi farei saltar le cervella! Qui la didascalia aiomonisce : Paula vacilla, arriva a stento all'ottomana dove ricade. Nel se- dere, la mano trova lo siìecchietto. libila lo solleva, vi si guarda, ed ha un' impressione di raccapriccio. — Sijìario. La Duse non fa nulla di tuttociò. Proferite le parole: Ehbene! che faresti tu? ella continua a in- terrogar con l'occhio, con l'aiùma protesa Ardale, il quale, dopo un breve silenzio, esclama con ri- solutezza la frase Mi farei saltare le cervella!, che è nel cuore di Paula come il gran lampo che in mezzo alla tenebra le mostra la via da seguire. Si leva di scatto; e rimane immobile, pensosa a guardar d' avanti a sé fissamente in un punto, come se in quello fosse la morte di cui ella ha accolto l'intendimento dalle parole di Ardale; 285 e, calato appena il sipario, per una osservanza all'idea dell'autore, è subito rialzato per forza delle acclamazioni frenetiche. Ma la Duse non concede al pubblico né un cenno del capo, né pur degli occhi. Immobile nel primo atteggiamento, attende sia fatto novo silenzio d' intorno per con- tinuare la scena; poiché se vi è sospension ma- teriale nell'azione d'avanti al imbblico, non ve ne è e non ve ne può essere nell'animo dell'ar- tista. Oh! bisogna vederla doi)o la gran scena del- l' atto quarto, la quinta, soggiogata, annichilita dalle i^arole Ti sta scritto in faccia !, che Elena le ha buttato in viso con una sicurezza terribile!... Bisogna sentirla gridare: Sono onesta, sono onesta, vi (/turo clic sono onesta! Chiedetemi perdono !... E, git- tatala a terra, e uscita Elena al sopravvenir del padre, dopo di avere sclamato: È colpa mia. papà! Io desidero di non rivedere mai pia il capitano Ar- dale!, con quale intonazione rantolosa ella, che ha ormai risolto di togliersi da quell' avvilupj)a- mento di oltraggi, proferisce a più riprese la frase Mi sta scritto in faccia, tracciando dei solchi in ogni 286 direzione su la fronte, le guance, il collo con l'in- dice, e con moti fini, trascurati ad arte, nei quali è la grande impressione avuta dalla frase fatale! Yeccliia prinui dei tt'uipo, coi mpcUÌ rari, coff/i ocelli incavati, con le (juance invartapecorite, uno spettro, unu rovina, una caricatura, una candela che si fonde.... Oh! mio caro Auhreif ! che cosa ti potrò dire allora? E questo è l' arreni re di cui parli! Come lo vedo! Come lo vedo!... Qui la Duse abbandona la guancia su In tosta del marito, al quale accarezza con atto dolce i capelli; e si risolleva con risoluzione improvvisa all' udir la canzone mormorata a pena da Drum- mele che si viene appressando.... E, dopo un si- lenzio, sclamato quasi tra so: J^gli non sa ìndia ancora! non vofflio vederlo, non voglio vederlo esce rapidamente. ( )li non è possibile, dalla espres- sione di quel volto transfigurato, dalla intona- zione di quella lugubre voce, dal grido angoscioso di quell'anima spezzata, non sentii- l'imminenza della traiiica li uè! 287 A Vienna il successo fu tale da non si dire. Finita la commedia, centinaia di bocche, di mani, di fazzoletti, chiedevano, volevano la loro diletta, la (jiiale. prostrata dalla commozione, dovè mo- strarsi ben dieci volte a quella moltitudine fre- netica ! Il successo che la Duse eb])e il 2 dicembre cou la replica di Casa Paterna fu commovente. Non v' era più soltanto l'ammirazione alta, profonda; nò men più soltanto V entusiasmo : v' era il de- lirio. Bisogna anche dire che, nonostante la tosse, che l'assaliva in guisa da metter pena, ella fu prodigiosa. Oi recammo a darle il saluto ultimo, 19 290 che mia moglie ed io si doveva partii' la mattina del 4, e condottici uel suo camerino, ella mi diede con dolce pensiero un ricordo, che accompagnò da parole di molta cordialità. Appariva esausta di forze. Nel toccar della salute, « Sentano — disse — come ho le mani sudate: sempre così. In somma, è una bronchite: i medici dicono che potrebbe mu- tarsi in polmonite. Come son premurosi ! Come sono buoni ! Ora, vedono, quando io sono a casa mi ci voglion tre ore al meno per calmarmi.... tanta è l'irritazione dei bronchi!...» E nel dir questo gli occhi, i grandi occhi suscitatori le si appannavano, le sue labbra si atteggiavano a uno di quei sor- risi pieni di melanconia, che stringono l'anima, e che di quel suo singoiar fàscino sono pur tanta l)arte. Ventura volle che il lunedì non si partisse, nò più rammento perchè, e si potesse assister la sera alla recita ultima della Moglie di Claudio. Sembrò che i convenuti si fosser data l'intesa per salutar degnamente l'ospite cara. Glie festivo alzarsi di voci! Che scrosciar d'applausi! Che agitar di pezzuole !... 291 Codesta sera accadde che uu attore, Antonino, si tro^■asse all' nltim' atto con in tasca la chiave del camerino anziché della Cassa forte. Come fare"^ L'aprir della Cassa forte era indispensabile. An- tonino tentò a più riprese di forzar la serratura, volgendo e rivolgendo la chiave; ma indarno! Oh ! In quel momento egli deve aver vissuto chi sa quant' ore;... e quali ore! Ma il tempo incal- zava e rimediar bisognava là per là! Intorno a me era un succedersi dimesso e trepido di « Scha- de! Scìiade! » in ogni tono. La Duse a un tratto, vòlta le spalle al pubblico, afferrò di su la tavola un giornale che gualcì con moto nervoso; e ap- pressatasi poi alla Cassa forte, facendo atto di trarne le segrete carte, continuò a dire e a far la sua scena imperturbata. Il successo, ho detto, fu, cotesta sera, ineflfa- bile. Dopo 1' ultimo atto, alzatosi il sipario al- l' insistente acclamar della folla, cominciarono a piover da ogni parte del sotti tto foglie di rose e fiori di ogni specie e colore, che andavan a po- sarlesi con effetto fantastico, sui capelli, su la persona.... Iri un attimo ne fu coperto il pavi- 292 mento ; ed elki con 1' alto pensiero improvviso, ne colse una manciata, e ne ornò in giro il busto di Beethoven. Qui le acclamazioni non ebber più confine ! La Duse dovette apparir ben venti volte, prostrata visibilmente da una commozione pro- fonda; ed il gentile atto is])irò ad un poeta gen- tile questi versi che dò letteralmente tradotti. 293 BEETHOVEN E LA DUSE Un mormorio tutto intorno nclln vasta sala Fatto (la un coro giul)ilaute di centinaia di voci. Ma tu, come rapita in lontani sogni, Stai pensosa, in mezzo a una pioggia di fiori, E quasi rapita ti cliini a terra, Sorridendo ai fiori, coli' occhio umido e dolce, E spargi con un gesto di venerazione, pieno di grazia. Quelli sulla imagìne marmorea severa di Beethoven. Allora que' rigidi lineamenti pian piano si animano, Le labbra, strettamente serrate, si aprono — Udite ! Come da giri di sfere straniere alla terra Eisuona un alito, che mormora come uno spirito: « Tu sorridi ? E il tuo occhio nuota nelle lagrime ! « Attraverso un velo esso guarda le allegre file ; « Esse ti acclamano: e tu col tuo desiderio appassionato, « Con quanto t' è sacro, sei tuttavia sola. « Un presentimento segreto, una vista interiore « Hanno guidato a me il tuo occhio e la tua anima, « E tu hai così, con amorosa fiducia, « Riconosciuto in me il testimonio del tuo soffrire. 294 « Vieni tu a me ì Perchè ti sei couvinta « Che l'esser nostro viene dalla sorgente medesima ? « Io ti ringrazio nei più seri accordi : « A])i»assionata ! Figlia, io ti saluto!» Con le recite di Vieinia, finì iiiiclie, oiniè, quel- l'aimo, il giro di Eleonora Buse, pel quale il mio buon genio volle eh' io fo.ssi legato co' miei co- mici all'Artista invitta. ICONOGRAFIA INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI (Zincotipie della Casa Angerer & Giischl di Vienna) Sopra Copertina. La Duse. " Gioconda ". Diseguo di G. C. Galvani. Copertina. La Duse alla prova. Disegno di G. C. Gal- vani. Di contro al frontespizio. La Duse. Da un dipinto a olio, di M. GORDIGIANI. Pagina 1. Testata di Raphael Pineiro del Numero unico, pubblicato a Lisbona in onor della Duse il 20 aprile del 1898. » 5. LuKii Duse, nonno di Eleonora, nella parte di Giacometto. Litografia senza data, né nome d'autore. (Da I Comici Italiani di Luigi Rasi). » 10. La Duse a sette anni, e i suoi Genitori. Vecchie fotogi-afle, riprodotte da I Comici Italiani. 298 Pag. 18. La Duse a sedici axni. Da una vecchia fo- tografia, riprodotta (la / Comki 11 (il ioni. » 41. La Duse-Ciiecoiii al Teatro Valle di Roma. Disegno di Dante Paolooci, riprodotto dal- V Illustrazione Italiana dei {"rateili TreA'es, del 4 iioveiiibre 1883. » 07. La Duse e gli Artisti della " Comédie Frano AiSE ". Fotografia di H. Mairet {Pho- tographie non velie) Parigi. » 71. Italienische Tragòdin Duse. Ritratto di F. Lenbaoii (della Casa Dr. Albert di Mo- naco). Riprodotto da T Comici Jtaliaui. » 7;-5. (X." 1). 1. e Vi'. Fotografia di Otto ^L\yeh di ]>resda, riprodotta da / Comici Italiani. » 73, 74, 75. (N.' 2, 3, 4, 5, 6, 7). Fotografia Au- DouAKi) & C'.iA di Bareellona, e. s. » 75. (N.' 8 e 9). Fotografia di IJ. Bkttini di Li- vorno, e. s. s(;. ScKNA DI Clauetta nell' " Egmont" di Goe- TiiK, al « Lessing tlieater » di Berlino. Foto- grafia di FitAN/- KrLiticii. 299 Pag. 97. Fotografia Montabone di Firense, riprodotta (la I Comici Italiani. > 99, 105, 125. La Du^e nella " Signora dalle Camelie". Fotografia di Audouard & C.'-* di Barcellona. » 134. Fotografia Baky di Parhi'i {atHievue photogra- phie lienque), riprodotta da I Coiìiiei Ita- liani. 135. Disegno di A. Calosci, c. s. -^ 1 39. La Duse in ' ' Magda " , al « Lyceum theatre » di Londra. (Dal Da ili/ (iraphic, del 12 mag- gio 1900). ;> 157. La Duse nella "Moglie di Claudio" al Teatro Carignauo di Torino. (Dal Fischietto dell' 11 novembre 1882). A' piedi dell' illu- strazione si leggon queste parole : In queste pagine dove comparve a soddisfare la legittima curiosità degli assidui il ritratto di Sarah Beruhardt, quando l'ecceutrica francese recitò al Carignauo, sarebbe grave mancanza non collocare quello di Eleonora Duse-Cukcchi, la quale sulle medesime scene ci dimostra che non mancano in Italia attrici nervose, che della Beruhardt possedouo, o sanno acquistare collo studio i meriti, senza averne i difetti. 300 Pag. 163. La Duse nell' ultima scena della '* Moglie DI Claudio". Disegno di G. A. Sartorio. (Dal Corriere di Boma, del 26 die. 1885). » 173. La Duse di A. N. Koussoke. Da una foto- tipia della Casa Riffakth & C." di Berlino. » 175. La Duse alla prova di "Antonio e Cleo- patra " al « Lessing tlieater » di Berlino. Fotogratia di Zander & Labiscii. Di fronte alla pag. 180. Da la prova generale di "An- tonio E Cleopatra " , al « Lessing tliea- ter » di Berlino. Diseguo di G. C. Galvani. Pag. 189. La Duse nell' ultim' atto di "Antonio e Cleopatra ", al « Lessing theater» di Ber- lino. Fotogialia di Zander & Lauisch. » 195. La Duse. Disegno dal vero di G.C. Galvani. » 197. La Duse nkli/ ultim' atto della " Gio- conda". Fotogiaiia ili Zander & Labisch di Berlino. Di fronte alla pag. 206. Lettera della Duse a Luigi Rasi. Pag. 213. La Gioconda. Disegno di Dante Paolocci, riprodotto dall' Illustrazione Italiana